venerdì 9 febbraio 2018

"FOIBA ROSSA. NORMA COSSETTO, STORIA DI UN’ITALIANA” DI EMANUELE MERLINO E BENIAMINO DELVECCHIO (FERROGALLICO EDITRICE)


La forma espressiva del fumetto rimanda all’infanzia e possiede i sapori e i contorni ludici della giocosità e della fiaba.
Lo scintillio intellettuale e quel lampo artistico colorato di genio che riposa nelle menti di alcuni esseri umani hanno mosso Emanuele Merlino e Beniamino Delvecchio (“Foiba rossa. Norma Cossetto, storia di un’italiana”, Ferrogallico editrice) ad eleggere il fumetto come forma estetica e comunicativa per raccontare la storia di una ragazza, di anni 23, italiana, nativa dell’Istria, vilipesa e stuprata da diciassette partigiani comunisti titini e gettata ancora viva in una foiba, nella notte fra il 4 e il 5 ottobre 1943. Quella ragazza si chiamava Norma Cossetto.
Merlino - apprezzato studioso e storico -  e Delvecchio, inconfondibile disegnatore di Diabolik il cui tratto di matita lo si riconosce anche in questo lavoro - con immagini rapide e metodo didattico e didascalico, narrano di Norma Corsetto e, tramite il suo eroico martirio, delle indicibili sofferenze di quei 10.000 italiani infoibati e dell’indescrivibile dramma di 350.000 esuli italiani dalmati, istriani e giuliani.
Le ideazioni di Emanuele Merlino, nel trasformarsi nelle raffigurazioni fumettistiche di Beniamino Delvecchio, mai si compiacciono della violenza e della truculenza, velatamente evocandole similmente a tragedie della Grecia classica, sussurrando al lettore abissi e orrore.
Le immagini, ancor più della parola, ancor più dello scritto, fanno sentire, fanno provare, forgiano emozioni, talvolta in maniera autenticamente prorompente.
Io mi sono sentito sull’orlo della foiba.
Io mi sono sentito inghiottire nell’oscurità di quel pozzo senza fondo dove Norma Cossetto e altri 10.000 italiani sono stati precipitati, molti ancora vivi, insieme alla carcassa di un cane nero in modo che non potessero riposare neanche da morti, secondo una leggenda slava.
Io ho visto senza vedere diciassette belve titine abusare, uno alla volta, per diciassette volte, del corpo di una ragazza che voleva solo laurearsi e cantare il suo amore per L’Italia.
Io ho sentito il freddo, le urla, il terrore, la ferocia della ghenga comunista.
Merlino e Delvecchio mostrano poco ma irrompono, delicatamente e senza riguardi, nel lettore senza sonoro, effetti speciali o schermi pluridimensionali. Solo immagini, solo disegni, solo fumetto.
L’Autore e il Disegnatore realizzano un’opera di maieutica socratica facendo partorire ed emergere verità inabissate nell’oblio programmato da una storiografia ideologicamente orientata (e, in quanto tale, negatrice di se stessa).
L’Autore e il Disegnatore ridonano il sorriso ad una ragazza che voleva solo laurearsi e rendere onore ad una Patria in cui credeva e che così tanto amava da accettare il martirio.
Quella laurea, Norma Cossetto, l’ha ricevuta ad honorem dall’Università di Padova l’8 maggio 1949.
Cartine geografiche e scritti perimetrano a livello territoriale e storico gli accadimenti raccontati, ma saranno i disegni a prendere il sopravvento. I tratti di matita sfumano e si confondono nei ricordi e i ricordi non sono altro che intimi sentimenti che sembravano evaporati e che invece divengono emozioni, che  finalmente possono liberarsi e librarsi in un pianto non più trattenibile.
Fabrizio Giulimondi

1 commento: