martedì 14 novembre 2017

“TRASPARENZA AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI E PROCEDURE ANTICORRUZIONE”

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La madre di tutte le attuali leggi sulla prevenzione della corruzione, quanto meno all’interno dello spazio economico europeo, è stato il Bribery Act 2010 - Guidance about procedures which relevant commercial organisations can put into place to prevent persons associated with them from bribing”, mediante il quale il Ministero della Giustizia inglese intese disciplinare tanto la corruzione nell’ambito della Pubblica Amministrazione quanto la corruzione tra privati. Esso ha costituito la base su cui verrà edificata negli anni successivi la normativa di settore non solo nel Regno Unito ma anche negli altro ordinamenti europei.
La Gran Bretagna introdusse il reato di corruzione privata in adempimento alla Decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio UE che chiedeva agli Stati membri di introdurre nei propri ordinamenti la fattispecie di corruzione nel settore privato entro il termine del 22 luglio 2005.
In attuazione della medesima Direttiva la legge n.34 del 2008 ha delegato il Governo italiano ad introdurre una nuova fattispecie di reato societario relativa agli atti distorsivi della concorrenza, estendendo la responsabilità amministrativa degli Enti ex d. lgs. 231 del 2001).
Nell’ambito del più ampio programma inteso a proteggere l'economia legale europea, in linea con quanto stabilito nella strategia per la sicurezza interna, la Commissione europea ha adottato, nel giugno 2011, il pacchetto anticorruzione, composto, fra l’altro, da:
•         una comunicazione sulla lotta alla corruzione nell'UE, che delineava gli obiettivi e gli aspetti pratici della relazione anticorruzione, pubblicata con cadenza biennale a partire dal 2013, basandosi sui meccanismi di monitoraggio esistenti (del Consiglio d'Europa, dell'OCSE e delle Nazioni Unite), nonché sul parere di esperti indipendenti, delle parti interessate e della società civile;
•         una decisione della Commissione che stabilisce il meccanismo di relazione anticorruzione dell'Unione europea ed istituisce un gruppo di esperti in materia;
•         una relazione sull'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
•         una relazione sulle modalità di partecipazione dell'Unione europea in seno al Gruppo di Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione (GRECO).

A ciò ha fatto seguito, nel febbraio 2014, la pubblicazione, da parte della Commissione europea, della prima relazione sulla lotta alla corruzione nell'Unione europea, che esaminava il fenomeno della corruzione nei 28 (oggi 27) Stati membri ed illustrava le misure anticorruzione esistenti, la loro efficacia ed alcune principali tendenze, tra le quali:
•         il forte divario tra gli Stati membri in merito all’attuazione di efficaci politiche preventive (ad esempio, norme etiche, misure di sensibilizzazione, accesso facile alle informazioni di pubblico interesse);
•         il mancato coordinamento, in molti Stati membri, dei controlli interni delle procedure in seno alle autorità pubbliche (in particolare a livello locale);
  •         la maggiore vulnerabilità dei settori dello sviluppo urbano, dell’edilizia e dell’assistenza sanitaria, nonché di quello relativo agli appalti pubblici, per i quali la Commissione invita a rafforzare le regole di integrità e suggerisce miglioramenti nei meccanismi di controllo;
•         le lacune per quanto concerne la vigilanza sulle imprese pubbliche e la loro conseguente vulnerabilità alla corruzione;
·       In merito all’Italia, veniva messo in evidenza che l’adozione - per quanto tardiva -  della legge anticorruzione n. 190 del 2012 rafforzava le politiche di prevenzione mirate a responsabilizzare i pubblici ufficiali e la classe politica. La Commissione consigliava anche di garantire maggiore trasparenza degli appalti pubblici ed adoperarsi ulteriormente per colmare le lacune della lotta anticorruzione nel settore privato. Inoltre, nell’applicazione della legge anticorruzione, che prevedeva l’adozione di un piano nazionale triennale ed obbligava tutti gli organi amministrativi ad adottare strategie d’azione in materia, la Commissione rilevava che anche le Camere di Commercio avrebbero dovuto predisporre piani pluriennali di prevenzione della corruzione.

Gli obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Il Decreto legislativo n. 33 del 2013 “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” è volto ad assicurare l’accesso da parte del cittadino alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni.
Il Decreto legislativo n. 33 del 2013 è stato modificato ed integrato dal d.lgs. 97/2016

D. LGS. N.97 DEL 2016
Il Decreto legislativo 25 maggio 2016 n. 97, in materia di “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza” (“Decreto Madia”), e che costituisce il primo degli undici decreti attuativi della delega di cui all’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Legge Madia”), ha apportato alcune modifiche ai primi 14commi della legge 6 novembre 2012 n. 190 (“legge Severino”) e al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (“Decreto Trasparenza”).
In particolare, il Decreto Madia persegue i seguenti obiettivi:
·        ridefinire l’ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza;
·        prevedere misure organizzative per la pubblicazione di alcune informazioni e per la concentrazione e la riduzione degli oneri gravanti in capo alle PA;
·        razionalizzare e precisare gli obblighi di pubblicazione;
·        individuare i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza.
Il Capo I del Decreto Madia apporta significative modifiche al Decreto Trasparenza.

·       Ambito di applicazione soggettivo
L’art. 3, secondo comma, del Decreto Madia che la disciplina in materia di trasparenza si applichi, oltre che alle PA e agli atri soggetti già previsti nella previgente disciplina, anche ad ulteriori categorie di soggetti, e specificamente:
•      agli enti pubblici economici e agli ordini professionali;
•      alle società in controllo pubblico ad eccezione delle società quotate; dunque, a differenza della disciplina previgente, alle società controllate da PA ex art. 2359 c.c., si applica il Decreto Trasparenza, per qualsiasi tipo di attività e non più solo per quelle di pubblico interesse;
•      alle società a partecipazione pubblica non maggioritaria, limitatamente ai dati e documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’UE; in precedenza, invece, tali società erano soggette solo ai commi 15-33 della legge Severino;
•      alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a 500.000 euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario, per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio, da PA e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da PA.
·       Ambito di applicazione oggettivo
Il Decreto Madia espressamente stabilito che, al fine di tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa, debba essere garantita l’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle PA, dunque non limitando l’accessibilità alle sole “informazioni relative all’organizzazione e all’attività delle PA”.

·       Accesso civico
Il Decreto Madia conferma l’impostazione dell’art. 5 del Decreto Trasparenza e garantisce a chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, di poter accedere ai documenti della PA, fatto salvo il rispetto di alcuni limiti, introdotti nel Decreto Trasparenza e previsti all’articolo 5 bis, a tutela di interessi pubblici o privati di particolare rilevanza.

·       Obblighi di pubblicazione
Il Decreto Madia specifica inoltre la disciplina relativa agli obblighi di pubblicazione e prevede:
•      obblighi di pubblicazione in capo a ciascuna PA, nell’apposita sezione “Amministrazione Trasparente” del proprio sito istituzionale dei dati sui propri pagamenti, con particolare riferimento alla tipologia di spesa sostenuta, all’ambito temporale di riferimento, ai beneficiari, del Piano triennale di prevenzione della corruzione, con l’indicazione dei responsabili per la trasmissione e la pubblicazione dei Documenti;
•      la possibilità di assolvere agli obblighi di pubblicazione delle banche dati mediante “rinvio”, attraverso l’indicazione sul sito, nella sezione “Amministrazione trasparente”, del collegamento ipertestuale alle stesse banche dati;
•      l’obbligo di indicare, sia in modo aggregato che analitico, negli atti di conferimento di incarichi dirigenziali e nei relativi contratti, gli obiettivi di trasparenza, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale; il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina responsabilità dirigenziale.



LEGISLAZIONE E BUONA AMMINISTRAZIONE
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Appare ad un primo approccio un dato meramente formale, ma in realtà il numero delle leggi e la loro qualità redazionale incide profondamente su una corretta gestione della “cosa pubblica”:  “Corruptissima re publica plurimae leges” (affermava saggiamente Tacito).
Altissimo numero di leggi, struttura delle stesse, presenza eccessiva di articoli, commi, lettere, articolati composti da una unica disposizione con centinaia di commi, commi aggiunti con le diciture latine bis, ter, quater, etc, troppe sottodivisioni dei commi in lettere, terminologie troppo tecniche e poco comprensibili al comune cittadino, eccessive interpolazioni, determinano un complesso normativo di difficile lettura non solo per il quisque de populo, ma per gli stessi tecnici.
Se ci caliamo, poi, in seno alla complessa materia delle procedure ad evidenza pubblica ci si rende conto di quanto sia importante un approccio agevole di un testo legislativo. L’utilizzo di Testi Unici e Codici costituiscono strumenti utili ed efficaci e il codice degli appalti 50/2016, corretto con quello n. 57/2017, è senza dubbio un giusto tentativo di aiuto per l’operatore economico ed imprenditoriale onesto di accedere al mercato senza “tagliole” da parte delle aziende “scorrette”. La normazione sulla trasparenza e in contrasto al tentacolare fenomeno della corruzione risulta essere un ausilio di grande importanza per tutti coloro che interloquiscono economicamente, finanziariamente e commercialmente con la Pubblica Amministrazione. Una maggiore attenzione da parte del Legislatore  alle regole in tema di legistica può certamente consentire un più facile accesso al “mercato” da parte delle tantissime aziende e società oneste e capaci, avendo esse una maggiore agibilità fra le direttive e le procedure da rispettare. Non è cosa da poco una legge chiara con dettami certi che siano perfettamente compresi da un imprenditore, che comprende in pieno ciò che può e non può fare. Dalla chiarezza delle leggi deriva direttamente un mercato sano scevro da metastasi corruttive.



D.LGS. 231/2001 E MODELLI DI GESTIONE IN CHIAVE ANTICORRUZIONE
Art. 6 d.lgs. 231/2001
(Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente)
1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente.
4-Bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). (*) 
5. È comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.

(Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modelli di organizzazione dell'ente)
1. Nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), l'ente é responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
2. In ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
4. L'efficace attuazione del modello richiede:
a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività;
b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

L’ISO 37001 “Anti-bribery management systems” rientra nei modelli di organizzazione e di gestione di cui agli artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001, ed è volto ad aiutare le organizzazioni private (NB CONTRASTO COMUNE ED OMOGENEO ALLA CORRUZIONE SIA IN AMBITO PRIVATO CHE PUBBLICO) nella lotta contro la corruttela, dando vita ad una cultura di integrità, trasparenza e conformità. Anche L’ISO 37001 non può garantire lo sradicamento della corruzione, può implementare  le misure efficaci per prevenirla e incisivamente affrontarla. La 37001 specifica le misure e i controlli anti corruzione adottabili da un’organizzazione per monitorare le proprie attività aziendali al fine di prevenire la corruzione. Rientrano tra questi:
·        la predisposizione di una politica anticorruzione,
·    l’individuazione di un incaricato (oltre all’impegno del top management),
·        la formazione a tutti gli interessati,
 ·   la valutazione dei rischi specifici, la definizione di relative procedure, come ad esempio la regolamentazione di omaggi e regali, il monitoraggio dei fornitori e dei partner commerciali.
La razionalizzazione della data governance, ossia quell’insieme di strategie e processi che indirizzano e regolano l’utilizzo e la gestione informatica e telematica dei dati pubblici e privati, è vitale per il progresso digitale della pubblica amministrazione ed è uno dei nodi centrali della Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020. L’Italia in questo settore sconta gravi ritardi rispetto alle amministrazioni di altri paesi competitor a livello globale ed europeo, pagando lo scotto dell’estrema frammentazione delle migliaia di micro-PA in fatto di gestione e conservazione dei dati.
Ai fini di una migliore governance del sistema e per garantire maggiore interoperabilità, è necessario operare ed anche orientare la scelta verso un utilizzo centralizzato. In questo senso solo il dato deve essere centralizzato affinché ogni ente della PA, sia locale sia nazionale, possa comunicare direttamente con la banca dati centrale. E’ opportuno garantire il collegamento diretto con i dati a livello centrale per ottimizzare la disponibilità di dati in modo omogeneo.
Nel concreto, dal momento che ogni singola articolazione della PA ha già un servizio e che tutte le strutture si stanno uniformando verso l’interoperabilità, non è necessario costringere il singolo ad adottare un sistema unico, ma è sufficiente premiare i modelli migliori a livello locale e spingere perché altri enti li assimilino, anche con il semplice principio di prossimità territoriale. .

Nella PA c’è dunque qualche best practice di evoluzione digitale, a cui è bene aggrapparsi e a cui è giusto dare risalto. Pure la fatturazione elettronica, uno dei pilastri della strategia italiana per la PA 2.0, è una di queste. La percentuale di imprese tricolori che utilizza la e-fattura nei confronti della PA si attesta infatti al 30%, superando abbondantemente il dato medio dell’UE (18%)..

Dall’osservatorio della Commissione UE emergono però anche alcune ombre, legate allo scarso accesso a Internet per usufruire dei servizi pubblici. Sotto la voce e-government si legge infatti che nel nostro Paese solo il 24% dei cittadini utilizza la Rete per interagire con la Pubblica amministrazione, con un aumento di appena 4 punti percentuali negli ultimi 9 anni e contro una media nei 28 Paesi UE del 48%. Non va meglio con l’uso della Rete per accedere alle informazioni delle PA (19% contro media UE al 42%). Il risparmio sui costi è la grande priorità dei piani di digitalizzazione delle Pubbliche amministrazioni. Servono però un’azione organica, roadmap delineate e obiettivi precisi: “La PA italiana – afferma Carlo Mochi Sismondi, presidente di Forum PA - che è stata tra le prime negli anni ’90 a dare inizio ad una trasformazione digitale dei servizi, è rimasta però fortemente indietro in termini della loro diffusione e fruibilità e, spesso, non ha usato il digitale per trasformare processi e modelli organizzativi. Qui è la sfida e qui si orienterà lo sforzo di informazione, formazione e confronto fra soggetti della PA. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione costituiscono il più potente strumento di cui i governi, aziende e soggetti del terzo settore dispongono oggi per risolvere le grandi sfide mondiali delineate dall’Agenda 2030”. Il digitale, rappresenta un fondamentale acceleratore del processo di attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, che potranno essere realizzati sia avvalendosi delle tecnologie esistenti e già largamente diffuse a livello globale, sia sfruttando, e in alcuni casi orientando, gli sviluppi futuri dell’innovazione comunicativa tecnologica.

N.B. In data 13 novembre 2017 il Procuratore Nazionale Antimafia (D.N.A.) e il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) hanno firmato un Protocollo d’ Intesa per un reciproco scambio di dati e informazioni per una maggiore trasparenza nella Pubblica Amministrazione in chiave di contrasto al fenomeno della corruttela e delle infiltrazioni mafiose nelle procedure degli appalti.
Si riporta il collegamento ipertestuale all’articolato.

Fabrizio Giulimondi



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