martedì 29 agosto 2017

VERSO IL PREMIO CAMPIELLO 2017: "LA COMPAGNIA DELLE ANIME FINTE” DI WANDA MARASCO (NERI POZZA)


La compagnia delle anime finte” di Wanda Marasco (Neri Pozza) – cinquina Premio Strega 2017 – è un romanzo scritto con uno stile fra il barocco e il gotico, che talora incespica in una eccessiva ampollosità, in una rugginosità nel registro linguistico, costellato da locuzioni eccessivamente forbite e ricercate per l’ambiente ove scorrazzano i personaggi. Lo stesso linguaggio adoperato fonde la lingua italiana all’idioma dei bassifondi napoletani. Non una parlata simile al siciliano aristocratico creato da Camilleri o l’arbëreshë gettato abilmente fra le pieghe dell’italiano da Carmine Abate, ma un gergo dei bassi partenopei che si infiltra nella lingua italiana intercettandone parole e compiendo su di esse una inaspettata metamorfosi. Esperimenti linguistici e semantici ben lontani da quelli di Elena Ferrante che con il suo periodare fluido ed incontenibile fa penetrare nell’animo del lettore anche la Napoli più lordata. In Wanna Marasco vi sono tracce pasoliniane, seppur immerse nelle acque del Golfo di Napoli, come se la “sugna” proveniente da un ambiente moralmente e materialmente sozzo e succhiata dai pori delle parole, costituisca l’anello di congiunzione fra la scrittura di Pasolini e quella della Marasco. Senz’altro la Scrittrice risente del “Portavoce della miseria”, Curzio Malaparte. Al pari del grande letterato napoletano, la Marasco canta la povertà, l’ignoranza, la sporcizia, il degrado, la superstizione, l’ignominia vissuta come quotidiana normalità. Nella scena, con chiare venature teatrali, del matrimonio fra Vincenzina e Rafele esplode la sonorità campana unita alla ironia e sagacità carnascialesca propria della commedia goldoniana e eduardiana, accompagnate alla potenza della tragedia ellenica classica. L’Autrice mantiene per tutta la narrazione lo stesso angolo prospettico – pur mutando la voce narrante – da cui tratteggia i personaggi su più piani temporali: quasi non v’è distinzione fra esser vivi o esser morti, perché il vivente di ieri è il fantasma di oggi e chi sta sul palcoscenico oggi sarà lo spettro di domani. Talora ci si chiede se protagonisti e comparse non siano già tutti defunti e non si ingannino, quasi si incaponiscano, a voler restare in vita. In realtà, in ogni personaggio della Marasco v’è sempre un elemento ectoplasmatico.
Tutta la loro vita era concentrata sull’orlo di un pozzo. Rosa aveva fatto il volto cupo e la malinconia in tutta la carne. Nella pena del momento, Vincenzina pensava al ventre. A un enorme ventre spuntato dalla notte, che conteneva il suo e quello di Adelí. Una grotta di carne che aveva fatto i feti destinandoli a una miseria senza fine”.

Fabrizio Giulimondi

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