giovedì 18 settembre 2014

"MORTE DI UN UOMO FELICE" DI GIORGIO FONTANA (SELLERIO): VINCITORE DEL PREMIO CAMPIELLO 2014

Morte di un uomo felice del bravo scrittore trentatreenne lombardo Giorgio Fontana (Sellerio editore Palermo), vincitore lo scorso 13 settembre del Premio Campiello 2014, avendo  superato in voti il concorrente “ Roderick Duddle” di Michele Mari (recensito in questa stessa Rubrica), nonostante  quest’ultimo lavoro fosse di ben altra valenza in stile, narrazione, erudizione, morfologia linguistica e fascino.
Immersa  in un linguaggio scorrevole, gradevole e vivace, la storia si alterna fra presente e passato; fra gli anni susseguenti  al rapimento ed uccisione di Aldo Moro (1978) e la guerra partigiana che seguì all’8 settembre 1943; fra la vita di Giacomo Colnaghi, magistrato in prima fila nella lotta contro il terrorismo comunista e le vicissitudini del padre, Ernesto Colnaghi, operaio e partigiano “rosso”.
Audace l’Autore nell’alzare a ruolo di protagonista ed eroe un pubblico ministero, iscritto sì a Magistratura Democratica, ma  vicino alle posizioni democristiane, seppur della corrente progressista, profondamente cattolico, avverso all’aborto, al divorzio e alla ideologia marxista,  in un periodo come quello attuale così laicista e  supino al relativismo etico.
Lascia perplessi, però, la pietas (non pagana ma cristiana) che Colnaghi  mostra nei confronti degli appartenenti alla confusa moltitudine delle frange criminali “di sinistra” che in quegli anni seminavano morte in giro per l’Italia.
Lascia dubbiosi la “compassione” (nel senso etimologico greco, syn-patheia, e latino, cum-patior) che egli palesa nei confronti di chi uccideva senza pietas e senza “compassione” per alcuno.
Lascia una sensazione di fastidiosa acidità in bocca la ricerca delle radici di questo odio e delle sue ragioni (“…Più si addentrava nella caverna che lo portava agli autori dell’omicidio….più scendeva negli abissi e più tutto si faceva sfumato, e benché le sue certezze fossero sempre solide come una muraglia, su questa muraglia cominciava a crescere l’edera del disagio.... ”).
E’ vero che le vittime non sono messe da parte, rimanendo presenti per tutta lo svolgimento del racconto, incarnate sin dall’incipit del romanzo dal figlio adolescente di Vissani (l’ultimo morto ammazzato per mano delle formazioni brigatiste), ma rischiano lo stesso di essere sopravanzate dalla possanza evocativa delle figure dei killer, che si ammantano di idealità sociali e pauperistiche, incompresi combattenti dei diseredati, degli  umili e degli oppressi.
Suggestiva è la tensione morale in virtù della quale il magistrato tenta di comprendere come calare la “Giustizia”, la “Diche”, lo “Ius” (“Noi non dobbiamo essere gli uomini dell’ira”) all’interno della concezione cristiana del giudizio, della sanzione e del perdono, per giungere ad inabissarsi, in ultimo, nell’Assoluto, in un Dio infinitamente amorevole  e illimitatamente misericordioso.
Intense le ultime pagine, nelle quali i sogni e le speranze vengono  demoliti dai colpi di una P38, la vita e la morte si mischiano fino al trionfo di quest’ultima e il futuro viene cancellato da una macchia di sangue, dalla esplosione di un’arma, da un atto di barbara violenza.


Fabrizio Giulimondi

2 commenti:

  1. Credo che in questo romanzo Giorgio Fontana abbia presentato un punto di vista non comune che tende alla radice del problema, un'indagine sulle reali motivazioni che spingono un giovane ad uccidere. Il protagonista va oltre la politica pur riconoscendo l'atrocità del crimine, consapevole che da violenza nasce altra violenza in un circolo inarrestabile.

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  2. La violenza era solo la loro e non era risposta a violenza perpetrata ai loro danni da parte di qualcuno, ma sorgeva solamente dalla loro farneticante ideologia comunista . Ad ogni modo, pur non ritenendo che l'Autore meritasse l'assegnazione del Premio, è indubbiamente un romanzo di valore.

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