mercoledì 2 novembre 2011

Stato, Chiese e pluralismo confessionale

Stato, Chiese e pluralismo confessionale

Anna Sveva Mancuso
(ricercatore di Diritto ecclesiastico e canonico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo)
L’attuazione dell’art. 8.3 della Costituzione.
Un bilancio dei risultati raggiunti e alcune osservazioni critiche

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Le sei intese concluse dal 1984 al 1995 - 3. La politica ecclesiastica italiana nei confronti delle confessioni di minoranza dal 1995 al 2006 - 4. Le intese del 2007 - 5. I problemi suscitati dalla mancata approvazione delle intese - 6. Conclusioni.
1 - Premessa
Gli ultimi venti anni del Novecento hanno visto in Italia assieme alla tardiva e altalenante attuazione dello strumento delle intese con le confessioni acattoliche, previsto dall’art. 8. 3° comma della Costituzione, anche un radicale cambiamento nella composizione della popolazione dal punto di vista religioso che ci spinge a fare delle riflessioni sulla opportunità di continuare a percorrere la strada tracciata dai costituenti o di trovare, invece, altre soluzioni per rispondere alle richieste sempre più pressanti dei tanti gruppi religiosi presenti nel Paese, ancora soggetti alle obsolete disposizioni del 1929-1930. Quest’ultime, invero, anche se in alcuni punti palesemente in contrasto con i valori garantiti dall’ordinamento, hanno dimostrato la loro validità per il fatto stesso di essere ancora vigenti1, nonostante dal 1997 in poi siano stati presentati in Parlamento dei disegni di legge sulla libertà religiosa che ne prevedevano espressamente l’abrogazione, che sono decaduti con la fine delle varie legislature tra l’indifferenza della maggior parte della classe politica, e quella, forse ancora più grave, della società civile.
Versione integrale del contributo in corso di stampa in versione ridotta nella Rivista Nuove Autonomie, 2009, n. 2-3 .
1 Un bilancio tutto sommato positivo della legislazione sui culti ammessi, pur nella considerazione che questa abbia fatto il suo tempo, viene tracciato da M. TEDESCHI, La legge sui culti ammessi, in Dalla legge sui culti ammessi al progetto di legge sulla libertà religiosa, atti del Convegno di Ferrara del 25-26 ottobre 2002, a cura di G. Leziroli, Jovene, Napoli, 2004, p. 46.
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Le intese stipulate in blocco dal Governo Prodi il 4 aprile del 2007 ed il loro sostanziale fallimento reso evidente dal fatto che a quasi tre anni di distanza ben sei di queste sono ancora lettera morta, non essendo neanche state presentate dal Governo al Parlamento per la loro approvazione, ci offrono un valido spunto per occuparci dell’argomento e tracciare un bilancio dei risultati raggiunti, volto anche a cercare di capire che cosa non ha funzionato nella loro pratica attuazione e come possono essere regolati in chiave moderna i rapporti dello Stato con le confessioni religiose di minoranza rispettando quel principio di eguale libertà, contenuto nel 1° comma dell’art. 8, assunto nel tempo quale principio cardine, regola fondamentale, del diritto ecclesiastico italiano2.
2 - Le sei intese concluse dal 1984 al 1995
La prima attuazione dell’art. 8.3 della Costituzione si è avuta, dopo quasi quarant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione ed a soli tre giorni dalla firma del nuovo Accordo con la Chiesa cattolica, il 21 febbraio 1984 con la stipulazione dell’Intesa tra la Repubblica italiana e le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese, approvata poi nel giro di qualche mese con la l. 11 agosto1984, n. 449.
Questa ha tracciato un modello di rapporti Stato-Chiesa di tipo separatista al quale si sono ispirate le intese successive con le chiese evangeliche3, ma al tempo stesso è stata a sua volta influenzata dal fatto che le trattative sono andate avanti assieme a quelle per la revisione del Concordato lateranense e che da parte statuale se ne occupasse la stessa commissione, anche se l’influenza si è limitata più all’aspetto formale dell’intesa che non a quello sostanziale, dato che nella regolamentazione delle singole materie la confessione ha tenuto a fare emergere i suoi punti di vista e le sue peculiarità.
L’Intesa è costruita attorno a due principi fondamentali per la confessione4, ovvero la volontà di non ricevere alcun privilegio da parte
2 Cfr. G. CASUSCELLI, Concordati, intese e pluralismo confessionale, Giuffrè, Milano, 1974, p. 145; ID, Pluralismo confessionale e organizzazione dei culti acattolici, in Scritti in onore di S. Pugliatti, III, Giuffrè, Milano, 1978, p. 245; e anche G. BARBERINI, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2000, p. 42.
3 Così A. ALBISETTI, La disciplina del matrimonio nell’Intesa tra la Repubblica italiana e la Tavola valdese, in Nuove leggi civili, 1984, p. 1218. Si veda anche sul punto E. TONEATTI, Le confessioni religiose acattoliche. L’Intesa tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese, in Stato civ. it., 1985, pp. 138-139.
4 Questi principi erano stati enunciati nell’art. 5 della Disciplina generale delle Chiese valdesi, riportato nella Nota informativa sul progetto per l’Intesa tra la Repubblica
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della società civile e allo stesso tempo di escludere ogni ingerenza della stessa nell’organizzazione religiosa. Essi fungono da chiave di lettura di ogni singolo articolo (sono venti in tutto) e ne sono esempio evidente:
a) la specificazione che le nomine dei ministri di culto, l’organizzazione ecclesiastica e la giurisdizione in tale materia sono esenti da ogni ingerenza statale (art. 2), come del resto l’affissione e distribuzione di pubblicazioni e stampati riguardanti la vita religiosa effettuate all’ingresso ed all’interno dei luoghi di culto (art. 16);
b) la rinunzia all’assegno perpetuo per il mantenimento del culto valdese (art. 3) assieme alla mancata previsione di forme di finanziamento statale5;
c) la rinunzia ad una tutela penale specifica del sentimento religioso quale quella contemplata negli artt. 402-406 del codice Rocco, anche se ovviamente questa rinunzia poteva avere il valore solo di una dichiarazione di principio (art. 4)6;
d) la previsione che tutti gli oneri finanziari relativi all’assistenza spirituale dei fedeli nelle c.d. comunità separate sono a carico della confessione (artt. 5-6-7-8);
e) l’affermazione che il compito di dare un’educazione religiosa ai giovani spetti soltanto alle famiglie e alle chiese, esentando lo Stato dal predisporre nelle scuole pubbliche un servizio religioso confessionale (art. 9) ma solo, eventualmente, su richiesta degli alunni e delle loro famiglie, un servizio volto allo studio del fatto religioso i cui costi ricadono sui competenti organi ecclesiastici (art. 10)7;
f) l’attenuazione delle funzioni di carattere civilistico a carico del ministro di culto, rimettendo al pubblico ufficiale incaricato delle
italiana e le Chiese valdesi e metodiste dell’8 febbraio 1978, pubblicata in AA.VV., Le Intese fra Stato e confessioni religiose. Problemi e prospettive, a cura di C. Mirabelli, Giuffrè, Milano, 1978, p. 229.
5 Va ricordato che inizialmente la Tavola valdese è rimasta fuori dal sistema di finanziamento statale dell’otto per mille dell’IRPEF, al quale ha aderito, ma solo per le scelte espresse, rinegoziando l’intesa sul punto con la l. 5 ottobre 1993 n. 409, mentre la partecipazione al riparto delle scelte non espresse è stata richiesta in una ulteriore intesa (una delle due modifiche di intese precedenti stipulata il 4 aprile 2007 assieme alle sei nuove intese di cui parleremo in seguito), definitivamente approvata dal Parlamento in data 26 maggio 2009.
6 Una decisa critica riguardo all’opportunità di inserire questa dichiarazione nell’intesa è stata fatta da G. CASUSCELLI, L’intesa con la Tavola valdese, in AA.VV., Concordato e Costituzione. Gli accordi del 1984 tra Italia e Santa Sede, a cura di S. Ferrari, il Mulino, Bologna, 1985, p. 235.
7 Sul punto cfr. L. SCALERA, L’istruzione religiosa nell’Intesa con le chiese rappresentate dalla Tavola valdese, in AA.VV., Il nuovo accordo tra Italia e Santa Sede, a cura di R. Coppola, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 835 ss.
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pubblicazioni la lettura degli articoli del codice civile sui diritti e doveri dei coniugi (art. 11);
g) la sottrazione della gestione tanto ordinaria che straordinaria degli enti ecclesiastici valdesi dall’ingerenza degli organi pubblici non ricorrendo oneri di mantenimento a carico degli stessi (art. 12).
h) il riconoscimento dell’autonomia giuridico-amministrativa degli ospedali valdesi, che restano così al di fuori dell’organizzazione del servizio sanitario nazionale (art. 14) e non sono tenuti a prestare un servizio di assistenza religiosa per i degenti cattolici o di altre fedi8.
Da una prima lettura dell’Intesa balzano subito all’occhio due elementi: la sua brevità9, e come in questa vi siano pochissime norme dirette a regolare specifici istituti delle chiese valdesi e metodiste, mentre viene dato molto spazio alle dichiarazioni programmatiche volte a fare chiarezza riguardo alla posizione della confessione di fronte allo Stato10.
Ciò è dipeso anche dal fatto che in quel momento quello che premeva maggiormente alla confessione era di ottenere l’abrogazione delle legislazione del 1929-1930 e di fronte a questo risultato tutto il resto aveva un valore relativo, come dimostra anche la inusuale collocazione della norma abrogatrice, posta in apertura nell’art. 1 dell’intesa11.
Essa si differenzia da quelle successive anche per la mancanza del preambolo, utilizzato in seguito dalle confessioni come contenitore delle dichiarazioni generali che vengono così distinte dalle norme prettamente operative.12
Ne viene fuori comunque un sistema abbastanza coerente, basato ove possibile sulla separazione tra ordinamenti, in cui all’autonomia
8 Tale disposizione è stata criticata da G. CASUSCELLI, L’intesa con la Tavola valdese, cit., pp. 239-240.
9 L’intesa valdese contiene solo venti articoli ed in questo somiglia, differenziandosi dalle altre intese, tutte più lunghe, al coevo accordo con la Chiesa cattolica, che tra il testo dell’Accordo vero e proprio ed il Protocollo Addizionale ne conta ventuno.
10 Cfr. sul punto, G. PEYROT, Le chiese evangeliche nello stato e di fronte allo stato, in Gioventù evangelica, n. 108-109, 1987, p. 26.
11 Per maggiori ragguagli sul punto si veda G. LONG, Le intese con chiese evangeliche, in Dall’Accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa, pubblicazione a cura della Presidenza del Consiglio, Roma, 2001, p. 321.
12 Cfr. G. LONG, Le confessioni religiose” diverse dalla cattolica “. Ordinamenti interni e rapporti con lo Stato, il Mulino, Bologna, 1991, p. 167.
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dell’organizzazione confessionale e degli enti ecclesiastici si accompagna l’esclusione di qualsiasi onere da parte dello Stato13.
L’Intesa con la Tavola valdese è stata seguita in un arco di tempo, durato circa un decennio, dalla conclusione di altre cinque intese, tutte caratterizzate dal fatto che le confessioni interessate vantavano un’antica presenza sul territorio italiano, e perciò erano ben conosciute allo Stato che aveva concesso già da alcuni anni la personalità giuridica ad enti a queste afferenti secondo la procedura indicata dall’art. 2 della legge n. 1159 del 1929, ed avevano un’origine comune, il ceppo ebraico-cristiano.
A distanza ravvicinata sono state stipulate il 29 dicembre 1986 altre due intese: con le Chiese cristiane avventiste del settimo giorno e con le Assemblee di Dio in Italia, approvate, dopo circa due anni, pure nello stesso giorno, con le leggi 22 novembre 1988, n. 516 (avventisti) e 22 novembre 1988, n. 517 ( ADI) 14.
Quest’ultime, entrambe con chiese evangeliche, presentano evidenti analogie con quella valdo-metodista, alla quale sicuramente si sono ispirate, specie nella regolamentazione di alcune materie, (assistenza spirituale, matrimonio, studio della religione nella scuola, enti ecclesiastici, ecc.) e parecchie similitudini si riscontrano anche tra di loro, accentuandosi ulteriormente negli articoli di apertura e chiusura delle intese, ma dall’esame delle varie disposizioni contenute nelle rispettive leggi di approvazione, emergono anche delle significative differenze.
Intanto, dal punto di vista quantitativo, l’Intesa con gli avventisti è molto più lunga, consta infatti di 38 articoli, ben 9 in più rispetto all’altra, che ne ha 29. Inoltre, essa è caratterizzata dalla presenza di un certo numero di disposizioni volte a tutelare specifiche esigenze ed istituti della confessione, ne sono esempio il riconoscimento e le agevolazioni previste per i colportori (art. 5), la maggiore larghezza con cui viene riconosciuta l’obiezione di coscienza al servizio militare (art.
13 Questo sistema verrà incrinato successivamente quando la Tavola valdese, rinnegando le posizioni originarie ed i principi orgogliosamente affermati nell’intesa, deciderà di partecipare al sistema di finanziamento statale dell’otto per mille, richiedendo nell’arco di dieci anni e con due nuove intese, prima la partecipazione solo per le scelte espresse e poi anche per le scelte non espresse, ma su questo ci soffermeremo più avanti.
14 Per approfondire il contenuto delle due intese si rimanda a G. LONG, Le intese con l’Unione avventista e con le Assemblee di Dio in Italia, in Quad. dir. pol. eccl., 1987, pp. 119-135; F. MARGIOTTA BROGLIO, Libertà religiosa e sistemi di rapporti tra Stato e Confessioni religiose. Le intese del 1986 con assemblee pentecostali e chiese avventiste, in Rivista di studi politici internazionali, 1987/4, pp. 539-548; L. MUSSELLI, Le intese con le Chiese avventiste e pentecostali, in Le nuove leggi civili commentate, 1990, pp. 44 ss.
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6)15, il riconoscimento della facoltà di istituire scuole private (art. 11), il rispetto del riposo sabbatico biblico (art. 17), assieme ad altre in cui traspare anche l’influenza dell’Accordo con la Chiesa cattolica come le norme sul riconoscimento degli enti ecclesiastici (artt. 20-27), o quelle sul regime finanziario (artt. 29-33) che prevedono la possibilità di dedurre dal reddito IRPEF, entro il tetto di due milioni (ora euro 1032,91), i contributi volontari elargiti alla confessione e da questa destinati alle finalità stabilite dall’art. 29, assieme alla partecipazione al riparto dell’otto per mille dell’IRPEF che in questa prima fase è limitata alle scelte espresse16.
L’Intesa con i pentecostali assomiglia di più a quella valdese, quantomeno nel senso che come questa contiene un esiguo numero di norme volte a mettere in rilievo aspetti ed esigenze particolari della confessione e si preoccupa più di svincolare le ADI, ove possibile, dall’ingerenza statale17. Si distingue, invece, da quest’ultima anche per la presenza di norme inedite che ritroviamo pure nella coeva intesa con gli avventisti, quali ad esempio quelle che prevedono la tutela degli edifici aperti al culto pubblico (art. 11), tengono conto delle esigenze delle emittenti gestite dalle ADI nell’ambito della pianificazione delle radio frequenze (art. 20), assicurano una parziale adesione al sistema di finanziamento statale, stabilendo tanto la deduzione dall’IRPEF per le erogazioni liberali in denaro fino all’importo di due milioni di lire (art. 21), che la partecipazione al sistema dell’otto per mille anche se solo per quella quota attribuita alla confessione sulla base della volontà manifestata dai contribuenti (art. 23).
Nel giro di qualche mese verrà il momento anche per gli israeliti di raggiungere l’ambito traguardo18, concludendo la fase più felice di
15 Si leggano al riguardo le considerazioni di C. CARDIA, in Stato e confessioni religiose, il Mulino, Bologna, 1988, p. 362.
16 Successivamente, con l. 20 dicembre 1996, n. 637 verrà introdotta una modifica all’intesa per consentire alla confessione avventista di partecipare anche al riparto delle somme derivanti dalle scelte non espresse.
17 A questo proposito va anche ricordato che il motivo principale che ha spinto le ADI verso la conclusione dell’intesa è stato proprio quello di affrancarsi dalla legislazione sui culti ammessi. Cfr. G. DI MASA, Le intese tra le Assemblee di Dio e il Governo italiano, in AA. VV., Le intese viste dalle confessioni, Jovene, Napoli, 1999, p. 106.
18 Va detto in proposito che per essi la strada per arrivare all’intesa fu un po’ più lunga e tortuosa in quanto fu necessario trovare degli accorgimenti ed adottare delle qualifiche di compromesso per eliminare i possibili ostacoli, dato che la veste confessionale poteva stare stretta all’ebraismo, espressione che non indica solo una religione ma esprime il modo di essere un popolo, il popolo eletto da Dio, a cui si appartiene per un vincolo di sangue: la nascita da madre ebrea. Per più ampi ragguagli sull’argomento, cfr. G. SACERDOTI, Ebraismo e Costituzione: prospettive di intesa tra le Comunità israelitiche e lo Stato, in Le intese tra Stato e confessioni religiose, cit.,
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quella che è stata molto efficacemente definita da Botta come la stagione delle intese19.
Con la legge 8 marzo 1989, n. 101 ha avuto attuazione nello Stato l’Intesa tra la Repubblica italiana e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, stipulata il 27 febbraio 1987, a soli due mesi dalle due precedenti.
Principio ispiratore dell’Intesa, da parte ebraica, è stato di tendere quanto più possibile all’equiparazione con lo status giuridico proprio della Chiesa cattolica, in quanto “religione più favorita”20, ed in questa chiave vanno lette le differenze con le tre intese che l’hanno preceduta e principalmente con quella valdese, che per prima ha tracciato, invece, un modello di relazioni tra Stato e confessioni evidenziando la separazione tra ambiti civili e religiosi21.
Molte disposizioni della legge 101/89 rispecchiano questa tendenza dell’ebraismo ad ottenere una disciplina affine a quella prevista per i cattolici, da quelle che assicurano in sede penale la pari tutela del sentimento religioso (art. 4), o l’assistenza spirituale nelle c.d. comunità separate (artt. 7-10), l’estensione agli edifici destinati all’esercizio del culto ebraico delle stesse garanzie previste dall’art. 831 c. c. per quelli della Chiesa cattolica (art. 15) e la previsione di una disciplina analoga per la costruzione degli edifici di culto (art. 28), fino ad arrivare alla normativa sul matrimonio dove la volontà ebraica di parificazione di trattamento, già emersa in occasione dell’elaborazione della legislazione sui culti ammessi22, ha trovato solo una limitata soddisfazione (art. 14).
La disciplina del matrimonio ebraico con effetti civili è quella di fatto più simile al matrimonio concordatario visto che il ministro di culto ha esattamente le stesse incombenze del sacerdote cattolico: legge agli sposi le disposizioni del codice civile (artt. 143-144-147) e può anche ricevere le dichiarazioni che la legge civile consente ai coniugi di
pp. 86-87; S. DAZZETTI, L’autonomia delle comunità ebraiche italiane nel novecento. Leggi, intese, statuti, regolamenti, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 203 ss.
19 Cfr. R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 1994, p. 111.
20 Così R. BOTTA, L’Intesa con gli israeliti, in Quad. dir. pol. eccl., 1987, pp. 100-101. Si leggano al riguardo anche le considerazioni di R. Bertolino che vede questo volersi conformare da parte ebraica ai risultati ottenuti dalla Chiesa cattolica come un uso ecclesiasticistico della clausola della nazione più favorita. Cfr. R. BERTOLINO, Ebraismo italiano e l’intesa con lo Stato, in AA. VV., Il nuovo Accordo tra Italia e Santa Sede, cit., p. 581. L’applicazione di tale principio internazionalista era stata suggerita da G. Fubini nel corso delle trattative che hanno preceduto l’intesa: cfr. G. FUBINI, Verso l’Intesa tra lo Stato e l’ebraismo italiano, in Dir. eccl., 1980, p. 358.
21 Cfr. A. ALBISETTI, La disciplina del matrimonio, cit., pag. 1218.
22 G. LONG, Le confessioni religiose, cit., p. 144.
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rendere nell’atto di matrimonio (artt. 162 c. 2 e 254 c. 1 c.c.), cosa che nelle tre intese precedenti non era stata prevista23.
Le analogie però si arrestano al momento della trasmissione dell’atto di matrimonio all’ufficiale di stato civile, in quanto non è stata riconosciuta né la possibilità di una trascrizione tardiva né la rilevanza civile della giurisdizione dei tribunali rabbinici sulle cause di scioglimento e nullità dei matrimoni religiosi, limitandosi lo Stato a prendere atto dell’esistenza di una giurisdizione confessionale (art. 14 c. 9 )24.
L’intento da parte ebraica di modellare l’intesa sul concordato con la Chiesa cattolica non ha impedito però alla confessione di fare emergere le sue specifiche esigenze25, come dimostrano le numerose norme diffuse nel testo volte a tutelare anche questo aspetto26.
Rientrano tra queste: il diritto di osservare il riposo sabbatico, minuziosamente disciplinato dall’art. 4, il riconoscimento di una serie di festività religiose (art. 5), la possibilità di prestare il giuramento nei tribunali a capo coperto e di eseguire la macellazione degli animali secondo il rito ebraico (art. 6), il diritto degli ebrei che si trovino nelle c.d. comunità separate di rispettare le prescrizioni rituali in materia alimentare (art. 7), la libertà di istituire scuole di ogni ordine e grado (art. 12), il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati da scuole rabbiniche (art. 13), la concessione di spazi particolari nei cimiteri per seppellire i defunti secondo le usanze ebraiche (art. 16), il
23 In merito a tale problematica ed in particolare riguardo ai motivi per cui le tre intese precedenti tacciono sul punto sia consentito rimandare a A.S. MANCUSO, Sull’inserimento delle dichiarazioni accessorie nell’atto di matrimonio religioso non previsto da intese bilaterali, in Dir. eccl., 2001, IV, pp. 1461-1466.
24 Sul matrimonio ebraico con effetti civili Cfr. V. TEDESCHI, Il matrimonio secondo la ”Intesa tra la Repubblica italiana e l’Unione delle Comunità israelitiche italiane”, in Riv. dir. civ., 1987, I, pp. 263 ss.; A. ALBISETTI, I matrimoni degli acattolici: gli ebrei, in Dir. eccl., 1990, pp. 457 ss; C. CARDIA, Ordinamenti religiosi e ordinamenti dello Stato, il Mulino, Bologna, 2003, pp. 203-208; F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, IX ed., Zanichelli, Bologna, 2003, pp. 495-496; E. VITALI, Gli effetti civili del matrimonio delle confessioni acattoliche, in E. VITALI, A. G. CHIZZONITI, Manuale breve. Diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 150-151; A.S. MANCUSO, Il matrimonio celebrato secondo l’intesa con l’Unione delle Comunità ebraiche, in Nuove Autonomie, n. 4-6, 2006, pp. 807 ss.
25 Osserva a tale proposito Finocchiaro come le leggi emanate sulla base di intese con le confessioni religiose del ceppo cristiano abbiano dei contenuti normativi molto simili, mentre, l’unica che si distingue dalle altre è proprio la legge 101/89 sulle Comunità ebraiche. Cfr. F. FINOCCHIARO, Il Concordato del 1984 e le Intese. Le confessioni senza intesa, in Dalla legge sui culti ammessi, cit., p. 122.
26 Cfr. G. FUBINI, Prime considerazioni sull’intesa ebraica, in Dir. eccl., 1988, I, pp. 127-138; si veda altresì G. SACERDOTI, Attuata l’intesa tra lo Stato italiano e le Comunità ebraiche. Il commento, in Corr. giur., 1989, pp. 818 ss.
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riconoscimento delle Comunità ebraiche (art. 18) e dell’Unione (art. 19 ) e delle loro particolari finalità, l’attribuzione della personalità giuridica (art. 21) e la soppressione (art. 23) di alcuni specifici enti ebraici e, infine, la previsione di un particolare sistema di finanziamento27. Quest’ultimo era basato sull’erogazione di contributi annuali versati dagli ebrei alle rispettive comunità di appartenenza in ragione della propria capacità contributiva, deducibili, in sede di dichiarazione dei redditi, nella misura del 10% del reddito complessivo dichiarato, fino ad un tetto massimo di 7 milioni e mezzo di lire28.
Dopo l’Intesa ebraica il processo di attuazione dello strumento dell’accordo bilaterale con le confessioni di minoranza subisce un rallentamento29 e devono passare quattro anni dalla sua entrata in
27 Per saperne di più sul sistema di finanziamento della confessione ebraica, cfr. G. SACERDOTI, Comunità israelitiche, I) Diritto Ecclesiastico, in Enc. giur., v. VII, Roma, 1988, p. 6; R. BOTTA, L’intesa con gli israeliti, cit., p. 114.
28 Tale sistema è stato poi modificato dalla l. 20 dicembre 1996, n. 638 che ha sancito la deduzione dei predetti contributi annuali nonché delle erogazioni liberali effettuate a favore delle Comunità e dell’Unione dall’IRPEF fino all’ammontare di due milioni di lire e la partecipazione dell’Unione delle Comunità ebraiche alla ripartizione della quota proveniente dall’otto per mille dell’IRPEF, tanto per le scelte espresse che per quelle non espresse.
29 Tale rallentamento sostanzialmente era dovuto alla acquisita consapevolezza da parte del Governo della impossibilità di raggiungere uno specifico accordo con ognuna delle confessioni religiose presenti sul territorio italiano, stante l’aumento continuo ed inarrestabile del loro numero, e delle aspettative riposte, pertanto, nel progetto di emanazione di una legge generale sulla libertà religiosa, in sostituzione della vecchia normativa degli anni 1929-30, che avrebbe potuto risolvere in parte il problema, in quanto molte delle confessioni richiedenti l’intesa erano motivate proprio dal fatto di volersi liberare dal peso di una legislazione decisamente superata e da cui si sentivano, non a torto, discriminate. Venne così approvato il 13 settembre 1990 dal Consiglio dei ministri un disegno di legge volto ad abrogare la normativa sui culti ammessi, sostituendola con una nuova disciplina che adeguasse la posizione dei culti acattolici privi di intesa ai principi di libertà ed eguaglianza espressi dalla Carta costituzionale. Questo non è mai stato presentato al Parlamento e le vicende politico – istituzionali del Paese fecero sì che per alcuni anni il progetto venisse accantonato (il disegno di legge del 1990 è pubblicato in Quad. dir. pol. eccl., 1990/2, p. 530 ss., e in Dir. eccl., 1991/1, p. 474 ss.). Va detto, ma in questa sede non è opportuno andare oltre qualche cenno, che in merito all’opportunità di regolare i rapporti tra lo Stato e le confessioni di minoranza con una nuova legge unilaterale si era espressa, fin dagli anni che avevano preceduto la stipulazione della prima intesa, anche la dottrina, che sul punto si era spaccata seguendo due diverse linee di pensiero. La prima raccoglieva coloro che sostenevano che lo Stato avrebbe potuto procedere autonomamente all’abrogazione della legislazione del 1929-30 in quanto questa era stata emanata unilateralmente e prima dell’avvento della Costituzione che aveva stabilito il principio di bilateralità nei rapporti tra Stato e confessioni religiose. Al contrario, gli autori che aderivano alla seconda corrente dottrinale, ritenevano che l’esistenza dell’art. 8, 3°. c., fosse un ostacolo insuperabile per procedere ad un’abrogazione unilaterale della
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vigore per la stipulazione di altre due intese, avvenuta, nel giro di un mese, tra marzo ed aprile del 1993.
Quest’ultime definiscono i rapporti tra lo Stato italiano e l’Unione delle Chiese evangeliche battiste italiane (UCEBI) e le Comunità evangeliche luterane italiane (CELI), e vengono sottoscritte rispettivamente il 29 marzo 1993 ed il 20 aprile 1993.
L’Intesa con l’UCEBI, approvata con l. 12 aprile 1995, n.116, fa parte delle c.d. intese “corte”, in quanto consta di 25 articoli ed un preambolo30. In essa si nota qualche innovazione dal punto di vista formale, ad es. è la prima volta che compare accanto al numero che identifica i vari articoli un titolo esplicativo del loro contenuto, che ritroviamo anche nella vicina intesa con la CELI.
Riguardo al contenuto possiamo dire che la prima parte dell’Intesa, che racchiude le norme sulla libertà religiosa, i ministri di culto, sull’assistenza spirituale nelle c.d. comunità separate, in ordine all’insegnamento ed allo studio del fatto religioso ed anche la disciplina del matrimonio, si modella su quella valdese, mentre per le norme riguardanti gli enti ecclesiastici, la disciplina si è ispirata a quella degli enti della Chiesa cattolica, così come risulta nel nuovo Accordo del 1984.
Sono presenti anche disposizioni sul regime giuridico degli edifici di culto (art. 17), sui beni culturali (art. 18) e sulla tutela della libera manifestazione del pensiero religioso (art. 19), sulle quali peraltro non c’è molto da dire in quanto analoghe a quelle contenute nelle intese precedenti.
vecchia normativa, leggendovi quasi un divieto per il legislatore di disciplinare interessi di natura religiosa senza coinvolgere i soggetti che ne sono portatori.
Per eventuali approfondimenti in riferimento alla prima tesi cfr. G. CATALANO, Sovranità dello Stato e autonomia della Chiesa nella Costituzione repubblicana. Contributo all’interpretazione sistematica dell’art. 7 della Costituzione, Giuffrè, Milano, 1974, p. 56; V. ONIDA, Profili costituzionali delle intese, in AA. VV., Le intese tra Stato e confessioni religiose cit., p. 42; S. LARICCIA, L’attuazione dell’art. 8, 3° comma della Costituzione: le intese tra lo Stato italiano e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese, in Dir. eccl., 1984, 1, pp. 479-480; C. CARDIA, Manuale di Diritto ecclesiastico, il Mulino, Bologna, 1996, pp. 248-249. Tra i sostenitori della seconda tesi si ricordano, invece, P. GISMONDI, L’interesse religioso nella Costituzione, in Giur. cost., 1958, p. 1240; S. LANDOLFI, L’intesa tra Stato e culto acattolico. Contributo alla teoria delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, Jovene, Napoli, 1962, p. 90; F. FINOCCHIARO, Sub art. 8, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Principi fondamentali, Zanichelli, Bologna- Roma, 1975, p. 430; G. SACERDOTI, Replica, in AA. VV., Le intese tra Stato e confessioni religiose, cit., p. 193. Sull’argomento si vedano anche le interessanti osservazioni di S. BORDONALI, Verifica e revisione delle intese, in Dir. eccl., 1994/2, pp. 399 ss.
30 Così G. LONG, Le Intese con Chiese evangeliche, cit., pp. 321-322.
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L’unica vera nota di originalità la ritroviamo nel sistema di finanziamento della confessione (art. 16) che dichiara di volere provvedere alle proprie necessità mediante offerte volontarie, accettando pertanto solo la possibilità di dedurre dall’IRPEF le erogazioni liberali fino all’importo di euro 1032,91 e restando fuori, invece, da ogni forma di partecipazione all’otto per mille, nonostante le chiese valdesi e metodiste vi avessero da poco aderito, modificando sul punto l’originaria posizione di rifiuto di qualsiasi aiuto economico da parte dello Stato31.
Di lì a qualche mese il quadro delle intese al momento vigenti si completa con l’entrata in vigore della l. 29 novembre 1995, n. 520 che ha dato attuazione all’Intesa con la CELI32.
Questa si sviluppa in 34 articoli, ne ha nove in più della precedente, più un preambolo che, secondo la prassi affermatasi nelle intese successive a quella valdese, è posto alla fine.
La disciplina delle singole materie è in buona parte conforme a quella delle altre intese con chiese evangeliche, specialmente per quanto riguarda la tutela della libertà religiosa, il riconoscimento dell’autonomia della confessione, la posizione dei ministri di culto, l’assistenza spirituale e l’insegnamento religioso.
Anche l’istituto del matrimonio è disciplinato sulla falsariga di quello valdese, ma nel I comma dell’art. 13 vi è una dichiarazione espressa da parte della confessione del riconoscimento della giurisdizione statuale su di esso, assieme ad un’affermazione dell’autonomia della CELI in materia di religione e di culto, che lascia intravedere la possibilità che la confessione celebri matrimoni ai soli
31 A questo proposito va specificato che anche i battisti hanno in tempi recenti mutato orientamento, come è emerso nel corso di un’Assemblea generale dell’UCEBI, tenutasi dal 12 al 15 giugno del 2008, in cui è stata messa ai voti la proposta di adesione all’otto per mille che sino a quel momento, nelle altre due occasioni in cui era stata formulata, aveva registrato la decisa prevalenza dei pareri negativi in quanto la si riteneva contrastante con il principio battista di separazione tra chiesa e Stato. Stavolta, invece, la maggioranza dei partecipanti si è dimostrata favorevole, optando anche per la partecipazione alle quote non espresse, ma ponendo dei limiti alla destinazione di tali entrate che dovranno essere impiegate solo per fini umanitari, sociali e culturali.
32 Per un commento delle due intese si rimanda a F. BOSCHI, Brevi osservazioni sulle intese con le Chiese battista e luterana, in AA. VV., Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, a cura di V. Parlato e G. B. Varnier, Giappichelli, Torino, 1995, e R. SARACINO, L’Intesa con la Chiesa evangelica luterana in Italia, in www.olir.it, 2004, pp. 1-14.
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effetti religiosi33. La norma, decisamente peculiare, può essere accostata, riguardo a quest’ultimo profilo, al comma 9 dell’art. 14 dell’intesa ebraica dove questo concetto è detto in maniera esplicita.
Per il resto qualche particolarità si nota riguardo al regime degli edifici di culto dove, assieme alle solite garanzie previste per gli edifici aperti al culto pubblico, viene specificato che l’attività di culto della confessione può svolgersi anche al di fuori delle chiese della CELI e delle Comunità (art. 14).
Nella norma sulla tutela dei beni culturali si parla anche dell’istituzione di commissioni miste, prevista solo nelle intese con i valdesi e con gli ebrei (art. 16).
Molto dettagliata è la disciplina degli enti ecclesiastici a cui sono dedicati numerosi articoli (artt. 17-25). Vengono riconosciuti ex lege in quanto facenti parte della CELI, nove Comunità evangeliche luterane e altri due enti, mentre in generale, ai fini del riconoscimento della personalità giuridica, il fine di religione o di culto può essere solo o congiunto con quelli dell’istruzione e beneficenza.
Per quanto riguarda le deduzioni IRPEF il regime è analogo a quello delle altre confessioni (art. 26), mentre sorprende in una chiesa evangelica la piena adesione al sistema dell’otto per mille, tanto per le scelte espresse che per quelle non espresse (art. 27), che inizialmente era stata fatta propria solo dalla Chiesa cattolica e non si ritrova in nessuna delle intese precedenti.
3 - La politica ecclesiastica italiana nei confronti delle confessioni di minoranza dal 1995 al 2007
Una volta approvate le intese con la CELI e l’UCEBI, ha ripreso vigore la tesi di chi sosteneva la necessità di una legge generale sulla libertà religiosa che abrogasse la obsoleta legislazione sui culti ammessi e riformulasse su basi più attuali i rapporti con le confessioni di minoranza34. Nel 1996 il Presidente del Consiglio Prodi espresse l’intenzione del Governo di procedere su questa strada35, manifestando anche una maggiore attenzione nei confronti delle esigenze dei gruppi
33 Per maggiori informazioni sulla disciplina del matrimonio nelle intese con la CELI e l’UCEBI, si veda A. ALBISETTI, I matrimoni degli acattolici: Battisti e luterani, in Dir. eccl., 1993, pp. 772 ss.
34 Iniziative analoghe del resto erano state intraprese con successo anche in altri paesi. Ricordiamo tra quelli a noi più vicini: la Spagna (1980), la Polonia (1989), l’Ungheria (1990) e l’Austria (1997).
35 Cfr. Il Regno, 15.06.1996, n. 12, p. 325.
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religiosi presenti nel Paese, che portò in breve (con decreto 14. 03. 1997) all’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di una commissione consultiva per la libertà religiosa cui venivano demandate una serie di importanti funzioni.36
Di lì a qualche mese, esattamente il 3 luglio del 1997, veniva presentato dal Governo alla Camera dei deputati il disegno di legge n. 3947 intitolato: Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui “ culti ammessi “37. Esso riproduceva il precedente progetto del 1990 con qualche modifica, ad esempio l’espressione “ culti ammessi nello Stato”, contenuta nell’art. 83 c.c., doveva essere sostituita secondo l’art. 10, 5°c., con quella di “ confessione o ente confessionale con personalità giuridica”, mentre nel D.D.L. del ’90 si parlava di “confessioni riconosciute”, dimostrando così maggiore sensibilità verso le modalità di organizzazione dei gruppi religiosi ma subordinando sempre l’attribuzione della qualifica di confessione ad un atto amministrativo, ovvero la concessione da parte statale della personalità giuridica, in contrasto tanto con l’essenza della confessione stessa, che esiste di per sé ed in base ad altre caratteristiche, che con l’orientamento espresso in merito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 195 del 199338. Inoltre era stato espunto il capo sui reati contro la libertà di coscienza e di religione, in cui venivano abrogati gli artt. 402-406 c.p. e 724 c.p., sostituendoli con nuovi articoli che introducevano una tutela penale paritaria, sanzionando in eguale maniera tutte le manifestazioni lesive del sentimento religioso. Probabilmente gli interventi della Corte costituzionale in tale materia in quegli stessi anni avevano fatto sì che l’argomento potesse momentaneamente essere differito o forse era prevalsa la considerazione che comunque poteva non essere opportuno regolarlo in tale sede39.
36 Per maggiori informazioni cfr. Quad. dir. pol. eccl., 1997/2, pp. 580-581.
37 Esso è pubblicato in Quad. dir. pol. eccl., 1997/2, pp. 591-601.
38 Cfr. sul punto R. BOTTA, La condizione degli appartenenti a gruppi religiosi di più recente insediamento in Italia, in Dir. eccl., II, 2000, p. 381. La sentenza della Corte costituzionale n. 195/93 è pubblicata in Foro it., 1994, I, c. 2986, con nota di N. COLAIANNI, Sul concetto di confessione religiosa.
39 Ricordiamo che la prima svolta della Consulta riguardo al problema tanto dibattuto della legittimità costituzionale degli articoli del codice Rocco sulla tutela penale dei culti, difesa strenuamente dal giudice delle leggi per oltre quarant’anni, si è avuta con la sentenza n. 440 del 1995 in cui è stata dichiarata la parziale illegittimità dell’art. 724 1°comma c. p., cassandone alcune parole, in maniera da estendere la tutela penale fino ad allora riservata alla sola divinità cattolica, alle divinità delle altre fedi, nel rispetto del principio di eguaglianza in materia religiosa sancito dagli artt. 3 e 8, 1° comma, della Costituzione. Sulla stessa linea la Corte ha a breve distanza emanato la sentenza n. 329 del 1997 con cui ha dichiarato l’incostituzionalità del 1° comma dell’art. 404 c.p. nella parte dove era prevista una pena maggiore, rispetto a
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Il testo governativo venne lungamente esaminato dal Comitato ristretto della Commissione affari costituzionali che vi apportò alcune modifiche, interpellando assieme a vari esponenti del mondo della cultura e della scienza anche i rappresentanti di diverse confessioni religiose, licenziandolo il 22 febbraio 2001. Ma, passati pochi giorni, la fine della XIII legislatura metteva nuovamente in forse la possibilità di una rapida emanazione della legge40.
Nel frattempo il perdurare della stasi legislativa aveva spinto la dottrina ad indicare una seconda strada attraverso la quale dare pronta attuazione al principio costituzionale espresso dall’art. 8, 1° comma41, mettendo fine alla situazione di disparità in cui si erano venute a trovare le confessioni senza intesa, ovvero l’abrogazione da parte del legislatore ordinario delle norme della vecchia normativa del 1929-1930 contrastanti con la Costituzione, che sicuramente non potevano essere garantite dall’art. 8, 3° comma,42. Sarebbero invece rimaste in vigore tutte le disposizioni dell’epoca in forza delle quali le confessioni avevano ottenuto diritti e potestà che non avrebbero potuto mantenere in base al diritto comune43, per la cui modificazione sarebbe stata opportuna una legislazione concordata.
Le aspettative riposte nell’emanazione della legge generale non avevano però impedito al Governo di avviare nel 1997 nuove trattative per la stipulazione di intese che vennero portate a compimento in poco
quella diminuita dell’art. 406 c. p., per coloro che commettevano il reato di vilipendio di cose oggetto di culto della religione cattolica. Successivamente, con la sentenza n. 508 del 2000, è stato finalmente abrogato il tanto criticato art. 402 c. p. che per molto tempo aveva costituito un serio limite all’attività di discussione in materia religiosa e propaganda delle confessioni acattoliche. La materia è stata di recente riformata dalla l. 24 febbraio 2006, n. 85, intitolata: Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione, i cui artt. 7-8-9 recano una nuova versione degli artt. 403-404-405 c. p che ha tenuto conto degli interventi della Corte costituzionale, mentre l’art. 10 abroga il vecchio art. 406. La legge è pubblicata in Quad. dir. pol. eccl., 2006/2, pp. 631-632, con nota di rinvio di A.G. CHIZZONITI, La tutela penale delle confessioni religiose: prime note alla legge n. 85 del 2006 “ modifiche al codice penale in materia di reati d’opinione, pp. 437 ss.
40 In merito a queste vicende cfr. T. RIMOLDI, Progetti di legislazione organica sulla libertà religiosa e modifiche del capo II, titolo IV, del libro primo del codice civile, in AA. VV, Dalla legge sui culti ammessi, cit., pp. 274-275.
41 Cfr. F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., pp. 143-144.
42 È interessante notare l’analogia con quanto prospettato da Jemolo a metà degli anni 70, quando la revisione del Concordato appariva ancora così improbabile da fargli sostenere la possibilità che le norme contenute in quel testo fossero lasciate cadere una alla volta, come fossero foglie secche. Cfr. A.C. JEMOLO, Il nodo del Concordato, in Nuova antologia, 1974, pp. 469 ss.
43 I vantaggi ottenuti dai culti acattolici in base alla l. n. 1159 del 1929 sono schematicamente elencati da P. GISMONDI, voce Culti acattolici, in Enc. dir., vol. VIII, Giuffrè, Milano,, 1961, p. 442.
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meno di un triennio, nonostante le perplessità emerse in itinere in seno allo stesso Consiglio dei ministri che portarono, per la prima volta, ad un’approvazione solo a maggioranza44. Il 20 marzo del 2000 l’orizzonte della legislazione contrattata ex art. 8, 3°c., Cost. si arricchiva dunque di altre due intese, sottoscritte dal governo D’Alema con i presidenti dell’Unione buddista italiana e della Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova45.
Più che sui contenuti dove le confessioni si sono omologate allo schema risultante dalle altre intese, eliminando prudentemente nel corso delle trattative tutte le tematiche da cui potevano sorgere possibili contrasti, come potevano essere ad esempio per i Testimoni di Geova: l’obiezione di coscienza al servizio militare, il rifiuto delle emotrasfusioni ecc., o addirittura utilizzando delle categorie concettuali del tutto estranee alla loro tradizione, quale è per i buddisti la figura del ministro di culto, la vera novità delle due intese, che le distingue dal gruppo delle precedenti, risiede nella storia e nelle tradizioni delle confessioni interessate, una professante una dottrina antitrinitaria che l’aveva divisa dal gruppo delle chiese protestanti e che si era distinta nel tempo e resa invisa a causa della sua disobbedienza alla leggi dello Stato, l’altra talmente diversa dalle religioni occidentali, fondate sul culto della divinità46, tanto da risultare difficile anche considerarla come religione47.
44 In particolare, veniva messa in dubbio, anche se per motivi differenti, la possibilità di considerare entrambi i gruppi religiosi come confessioni ai sensi dell’art. 8 Cost., nonostante essi avessero già conseguito il riconoscimento della personalità giuridica ai sensi dell’art. 2 della l. n. 1159 del 1929 e che prima di questo si fosse espresso favorevolmente anche il Consiglio di Stato. Relativamente al concetto di confessione religiosa nell’ordinamento italiano si vedano: N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art. 8 della Costituzione, Cacucci, Bari, 1990, pp. 34-38; R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico, Torino, 1994, pp. 100-105; S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa (come sopravvivere senza conoscerla), in Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, cit., p. 19 ss.; A. VITALE, Corso di diritto ecclesiastico. Ordinamento giuridico e interessi religiosi, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 205-208; G. CASUSCELLI, Ancora sulla nozione di confessioni religiose: il caso di Scientology, in Quad. dir. pol. eccl., 1998/2, p. 832; F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 2003, pp. 68-84; M. RICCA, Le religioni, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 81-82.
45 Entrambe le intese sono state esaurientemente commentate da N. COLAIANNI, Le intese con i Buddisti e i Testimoni di Geova, in Quad. dir. pol. eccl., II, 2000, pp. 475 ss.
46 Cfr. P. BELLINI, voce Confessioni religiose, in Enc. dir., vol. VIII, Giuffrè, Milano, 1961, pp. 926-928.
47 Si vedano al riguardo le osservazioni fatte da FABRIZIO GIULIMONDI, Intesa Stato italiano-Unione buddisti italiani: ma questa intesa è costituzionale? in Dir. eccl., I, 2000, pp. 936 ss., dalle quali risulta evidente la difficoltà di considerare il buddismo come religione proprio per le sue differenze con la concezione giudaico-cristiana della
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La sigla di queste intese rivela, pertanto, un’evoluzione nell’atteggiamento dello Stato che ammette nell’esclusivo salotto delle confessioni privilegiate (fino ad allora tutte legate dalla comune radice giudaico cristiana) altri due culti che si distinguono nella ideologia, nell’organizzazione e nel comportamento da quello che era sembrato fino a quel momento il modello ideale di confessione religiosa, ma paradossalmente il prezzo da questi pagato per la loro ammissione è proprio la perdita della loro identità, di quella specificità che attraverso l’intesa avrebbero dovuto fare riconoscere48.
Esaminando nello specifico il testo delle due intese e partendo da quella con i Testimoni di Geova, possiamo dire che questa consta di un preambolo abbastanza articolato, contiene ben otto enunciati, e di 22 articoli che non presentano sostanziali novità rispetto alle intese precedenti. Essi garantiscono: la libertà religiosa (art. 1), la posizione dei ministri di culto con la previsione del segreto d’ufficio (art. 2), l’assistenza spirituale nelle strutture obbliganti (artt.3-4), l’efficacia civile del matrimonio, con la possibilità, che ritroviamo solo nell’intesa ebraica, per il ministro di culto di inserire nell’atto di matrimonio le dichiarazioni consentite ai coniugi dalla legge civile (art. 6); inseriscono nel quadro delle festività religiose, la commemorazione della morte di Gesù Cristo (art. 7); stabiliscono le modalità di attuazione dell’insegnamento religioso nelle scuole (art. 5), il regime giuridico degli edifici di culto (art. 8), l’accesso in condizioni di eguaglianza con le altre confessioni alle emittenti radiotelevisive (art. 9), le condizioni per il riconoscimento degli enti ed il regime finanziario (artt.10-17). Quest’ultimo è analogo a quello delle altre confessioni con intesa ma la partecipazione al riparto delle entrate derivanti dall’otto per mille dell’IRPEF è limitata alle scelte espresse e tali somme potranno essere destinate anche alla realizzazione e manutenzione degli edifici di culto (art. 17). A differenza di altre intese, non vi è alcuna previsione sui beni culturali ecclesiastici. È stato del tutto omesso, come accennato, dopo un’iniziale proposta della confessione che era stata subito avversata, qualsiasi riferimento all’obiezione di coscienza al servizio militare, che in passato era stata causa di tante tensioni, proprio per l’atteggiamento intransigente dei fedeli della confessione, in quanto i Testimoni di
religione. Critica questa impostazione S. Ferlito, per il quale “ cercare di dedurre la natura della religione muovendo da categorie quali “dio” o “divino”, significa rimanere dipendenti da concezioni troppo legate al monoteismo esclusivista e alla tradizione giudaico-cristiana per essere capaci di cogliere L’elemento comune delL’universo religioso.” Così S. FERLITO, Le religioni, il giurista e l’antropologo, Rubbettino, Catanzaro, 2005, p. 99.
48 Cfr. sul punto R. BOTTA, La condizione degli appartenenti a gruppi religiosi, cit., pp. 370-373.
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Geova oltre al servizio militare rifiutavano anche la prestazione alternativa, ovvero il servizio civile sostitutivo, dal momento che questo dipendeva sempre dalle autorità militari49. Va detto in proposito che l’acquiescenza della confessione sul punto oltre che da valutazioni di opportunità poteva essere dovuta anche al fatto che probabilmente l’argomento aveva perso di interesse in quanto la posizione dei Testimoni di Geova risultava abbastanza garantita dalla recente legge 3 luglio 1998, n. 230 che aveva riformulato la materia dell’obiezione di coscienza al servizio militare, affrancandola dalle condizioni restrittive della precedente legge, e prevedendo tra le altre cose anche l’istituzione di un servizio civile nazionale50.
Più forti, invece, sono state le resistenze nel difendere una norma, a cui la confessione si è decisa a rinunciare solo alla fine, volta a riconoscere l’obiezione di coscienza dei fedeli, sia adulti che minori, alle trasfusioni di sangue o ad altre prestazioni sanitarie comportanti la somministrazione di emoderivati, che da parte statuale non avrebbe mai potuto essere accolta perché avrebbe dato luogo ad un trattamento differenziato dei cittadini per motivi di religione in una materia estremamente delicata quale quella del rapporto tra libertà terapeutica e diritto alla salute, che proprio per questo non era sicuramente idonea a trovare soluzione in tale contesto51.
L’Intesa con l’Unione Buddista italiana (UBI) è stata anch’essa epurata nelle varie bozze che hanno preceduto la stesura di quella definitiva da quelle disposizioni dalle quali trasparivano le diversità più evidenti di questa dottrina che si distingue dalle religioni occidentali tradizionali per il suo disinteresse nei confronti della divinità e per la particolarità degli atti di culto che consistono principalmente in sedute di meditazione, che possono essere anche individuali, finalizzate al raggiungimento di un’armonia interiore della persona con la natura e il mondo circostante52.
49 In merito a queste problematiche cfr. R. MAZZOLA, Obiezione di coscienza “totale“ e principio di ragionevolezza, in Quad. dir. pol. eccl., 1993 /1, pp. 153 ss.
50 Per maggiori informazioni cfr. R. BOTTA, La nuova legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare, in Dir. eccl., 1999, I, p. 192.
51 Sull’argomento cfr. G.M. PARODI, Trattamenti sanitari obbligatori, libertà di coscienza e rispetto della persona umana, in Foro it., 1983, I, pp. 2656 ss.; V. SINISI, Sul consenso al trattamento sanitario del minore, in Foro it., 1984, I, pp. 3066 ss.; M. ANTONELLI, Emotrasfusione obbligatoria e libertà religiosa, in Dir. fam., 1985, pp. 1002 ss.; L. MAZZA, Fede religiosa ed omesso impedimento dell’evento, in Dir. fam., 1987, pp. 178 ss.
52 Per una migliore comprensione cfr. G. TUCCI, voce Buddismo, in Enciclopedia del Novecento, Treccani, Roma, 1975, I, pp. 557-573; AA. VV, Storia del Buddismo, Mondadori, Milano, 1999; D. KEOWN, Buddismo, Einaudi, Torino, 1999; Buddhismo, a
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Essa costituisce una novità rispetto alle intese precedenti anche in relazione al soggetto che si presenta quale interlocutore dello Stato, in quanto l’UBI non è l’ente esponenziale di un’unica confessione religiosa ma rappresenta una parte, seppure la più numerosa, delle comunità e centri buddisti presenti nel territorio italiano, che sono abbastanza eterogenei in quanto legati a differenti scuole e tradizioni e svolgenti attività di diversa natura53. Di ciò si è tenuto conto nel testo dell’intesa che prevede che le disposizioni della legge di approvazione si applichino agli organismi che in base allo statuto risultino associati all’UBI e cessino al contempo di avere efficacia nei confronti di quelli che perdano tale qualità, incombendo sull’UBI l’obbligo di comunicare tempestivamente i mutamenti verificatisi nella struttura associativa alla Presidenza del Consiglio ed al Ministro dell’interno (art. 25).
Altre novità, stavolta riguardo ai contenuti dell’intesa, si rinvengono nella mancanza di una disposizione che regoli l’efficacia civile del matrimonio religioso, dovuta al fatto che il buddismo non ha una propria forma di celebrazione dell’istituto, per il quale è contemplata solo un’apposita benedizione, e nella previsione di un particolare trattamento delle salme (art. 8), dove però le regole delle varie tradizioni buddiste devono comunque rispettare le norme vigenti in materia nello Stato italiano.
Per il resto l’Intesa, strutturata dal punto di vista formale in un preambolo, che ripete dichiarazioni simili a quelle delle altre intese, ed in 27 articoli, si uniforma alle precedenti anche nei contenuti. Viene così affermata l’autonomia dell’UBI per tutto ciò che attiene alla propria organizzazione (art. 1), la libertà religiosa in tutte le sue più comuni manifestazioni, peraltro già garantite dalla Costituzione, (art. 2), assicurata, con formula analoga a quella contenuta nell’art. 6 dell’ intesa con gli avventisti, l’obiezione di coscienza al servizio militare con assegnazione dietro richiesta al servizio civile, ma non l’esonero come la confessione inizialmente aveva sollecitato (art. 3), previsto il diritto
cura di G. Filoramo, Laterza, Roma- Bari, 2001; J. SCHLIETER, Il buddismo, Carocci, Roma, 2002.
53 Lo scopo dell’UBI, fondata a Milano nel 1985, è quello di promuovere e sviluppare lo studio del buddismo, favorire le relazioni tra i vari centri esistenti in Italia, coordinando le loro iniziative ed agevolando la collaborazione tra le varie scuole, e promuovere il dialogo interreligioso. L’Unione comunque non racchiude tutte le comunità buddiste presenti in Italia, ad essa non ha aderito ad esempio una delle più numerose, l’Istituto buddista italiano Soka Gakkai che segue gli insegnamenti del monaco giapponese riformatore Nichiren Daishonin (1222-1282) e risponde direttamente alla Soka Gakkai di Tokio. Quest’ultimo è stato riconosciuto dallo Stato con D.P.R. 20.11.2000 e nell’aprile dell’anno successivo ha iniziato le trattative per la stipulazione di un’ intesa autonoma.
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all’assistenza spirituale degli aderenti nelle strutture obbliganti, con il conseguente diritto d’accesso dei ministri di culto (art. 4).
Sostanzialmente ripetitive sono anche le norme riguardanti l’insegnamento religioso nella scuola (art. 5) e l’istituzione da parte dell’UBI di scuole ed istituti di educazione (art. 6), che non recano traccia delle proposte iniziali dell’UBI in cui venivano specificati tanto i destinatari “ figli di buddisti stranieri residenti in Italia ” che lo scopo di queste attività, ossia il mantenere vive tra questi soggetti la lingua, la cultura e le tradizioni di origine.
Una parte abbastanza problematica e che ha richiesto un notevole sforzo e capacità di adattamento da parte dell‘UBI che a poco a poco si è vista costretta a rinunciare alle sue richieste, in modo che la disciplina venisse assimilata a quella delle intese vigenti, è quella che regola i vari aspetti connessi all’esercizio del culto che all’interno del buddismo assume delle connotazioni molto particolari rispetto alle confessioni tradizionali54.
Proprio per questo nella seconda bozza confessionale, approvata nel settembre 1997, il termine “ ministro di culto” era stato sostituito con quello, ritenuto più rispondente, di “maestro di Dharma” e veniva specificato che le pratiche meditative (molto spesso individuali) potevano svolgersi anche in luoghi diversi dagli edifici di culto, richiedendo anche per quest’ultimi un trattamento equiparato a quello che nelle altre intese era riservato agli edifici destinati al culto pubblico e le stesse agevolazioni fiscali.
L‘accoglimento da parte statuale della prima di queste richieste avrebbe comportato però la necessità di introdurre nell’intesa un richiamo alla norma statutaria che definiva il concetto di maestro di Dharma, e ciò non era gradito da alcuni aderenti all’UBI che lo interpretavano come una possibile limitazione della libertà confessionale sul punto, e inoltre di creare una disposizione che equiparasse agli effetti civili le due figure del ministro di culto e del maestro di Dharma. In ordine alla seconda, invece, venivano fatte presenti le difficoltà di estendere a tutti i luoghi dove poteva svolgersi l’attività di culto (case private, celle di monasteri ecc.) le speciali garanzie di cui godono gli edifici di culto ed i rischi che questo avrebbe comportato55.
54 Si veda sul punto N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., p. 41.
55 Si vedano in proposito le osservazioni di N. COLAIANNI, Le intese con i Buddhisti e i Testimoni di Geova, in Quad. dir. pol. eccl., 2000/2, pp. 486-487. Analoghe considerazioni vengono fatte anche da S. ANGELETTI, Brevi note di commento all’Intesa con l’Unione Buddhista Italiana, in Dir. eccl., 2001, pp. 978-980.
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Alla fine è venuta fuori una norma sui ministri di culto abbastanza neutra che rimette all’UBI la certificazione di tale qualifica e riconosce a questi soggetti diritti analoghi a quelli delle equivalenti figure delle altre confessioni, compreso il segreto d’ufficio (art. 7)56. Mentre la disposizione che regola il regime giuridico degli edifici di culto rivela in qualche modo il travaglio che ne ha preceduto la formulazione definitiva, in quanto oltre a specificare che essi devono essere aperti al culto pubblico, richiede, cosa che non ha precedenti nelle altre intese, che l’UBI ne predisponga un elenco e lo trasmetta alle autorità competenti (art. 15). Si sarebbe potuto in parte venire incontro alle esigenze della confessione, senza per questo derogare alla disciplina vigente in materia, limitandosi, con una formula analoga a quella apposta al comma 3° dell’art. 14 dell’intesa con la CELI, a prendere atto del fatto che le attività di culto possono svolgersi anche al di fuori dei luoghi appositamente adibiti a tale scopo.
Un riferimento specifico alle attività di culto buddista si ritrova, invece, nell’art. 9 lett. a, dove vengono elencate tra le attività considerate di religione o di culto agli effetti civili quelle tipiche della dottrina buddista, per cui si rinvengono delle differenze rispetto alle attività di religione o di culto delle altre confessioni.
Le restanti norme sulla disciplina degli enti ecclesiastici (artt. 9-10-11-12-13), sul regime tributario (art. 14), sulla tutela dei beni culturali ecclesiastici (art. 16), sulle pubblicazioni religiose (art. 17) e sulle deduzioni fiscali (art. 18), sono mutuate da altre intese e non presentano spunti originali. Vi è una totale adesione al sistema dell’otto per mille, scelta che sino a quel momento in sede di intesa era stata fatta solo dalla CELI, con la differenza però che la destinazione delle somme ricavate in base alle scelte non espresse per l’UBI è limitata esclusivamente ad iniziative umanitarie (art. 19). Gli articoli da 20 a 26 ripetono quanto già affermato nella parte conclusiva delle altre intese, e su questa linea si pone anche il 23 che, sulla falsariga di quanto già ottenuto dalle altre confessioni, contiene il riconoscimento di una festività religiosa, il Vesak, celebrativa della nascita, illuminazione e morte del Buddha, che ricade in via convenzionale ogni anno a maggio, nell’ultimo sabato e domenica del mese.
L’Intesa si chiude, invece, con una norma innovativa (art. 27), che si ritrova solo alla fine della coeva intesa con i testimoni di Geova (art. 22), che impegna il Governo a presentare al Parlamento il disegno di
56 Sulla figura del ministro di culto nell’ordinamento italiano si vedano A. LICASTRO, I ministri di culto nello ordinamento giuridico italiano, Giuffrè, Milano, 2005; A. BETTETINI, Alla ricerca del “ministro di culto”. Presente e futuro della qualifica nella società multireligiosa, in Quad. dir. pol. eccl., 2000/1, pp. 249 ss.
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legge di approvazione della stessa. Questa disposizione, che non apporta modifiche alla procedura da seguire, sottolineando un compito che era già del Governo, e che non era presente nel gruppo delle prime sei intese, rispecchia la consapevolezza da parte delle due confessioni del clima difficile in cui le rispettive intese erano venute alla luce e appare come un presagio delle vicende successive.
La fine della XIII legislatura, avvenuta circa un anno dopo la stipulazione delle intese con i testimoni di Geova ed i buddisti, vede i relativi disegni di legge di approvazione, che erano stati presentati alla Camera dei deputati nell’estate del 2000, fermi alla I Commissione affari costituzionali.
Nei primi mesi della XIV legislatura qualcosa si muove, invece, riguardo al disegno di legge sulla libertà religiosa dove stavolta il governo viene preceduto dalla presentazione di due progetti di legge di iniziativa parlamentare, il primo (A. C. n. 1576 del 14. 9. 2001 ) a firma dell’on. Spini e di un gruppo di deputati dell’Ulivo, ed il secondo (A. C. n. 1902 del 6. 11. 2001 ) dell’on. Molinari57.
A breve distanza un disegno di legge viene presentato anche dal governo Berlusconi (A. C. n. 2531 del 18. 3. 2002 ) che dimostra così di condividere un progetto formatosi all’interno di un diverso orientamento politico e ciò lascia ben sperare sul fatto che si possa arrivare ad una rapida approvazione della legge. Tutti e tre i progetti, peraltro, peccano di originalità e sono in buona sostanza molto simili, in quanto si sono limitati a riproporre con qualche lieve modifica il testo che era stato licenziato nel febbraio 2001, ossia il D. D. L del 1997, con le integrazioni apportate dalla Commissione affari costituzionali58.
Le speranze iniziali devono però abbastanza presto fare i conti con le polemiche ed i rallentamenti causati dalla forte opposizione della
57 Sembra a questo punto opportuno precisare che il presente lavoro si occupa delle intese, dei loro contenuti, delle modalità con cui a queste viene data attuazione, e dei problemi che possono derivare dalla loro mancata approvazione. Per completezza non si poteva non accennare al lungo e tormentato iter di elaborazione di una legge generale sulla libertà religiosa, abrogativa delle vecchie disposizioni sui culti ammessi, dal momento che le due tematiche sono strettamente connesse, nel senso che la mancanza di una legge organica comporta necessariamente un aumento delle confessioni interessate all’intesa, vista così come unico mezzo per sfuggire a delle norme inique piuttosto che come strumento per fare valere le specificità delle singole confessioni interessate, come era nelle intenzioni del costituente. In questa sede, pertanto, non è stato possibile approfondire i contenuti dei diversi progetti di legge sulla libertà religiosa per i quali si rimanda ai commenti degli autori citati nelle note.
58 Una sintesi di queste vicende viene fatta da T. RIMOLDI, Progetti di legislazione organica sulla libertà religiosa, cit., pp. 274-275 e R. ASTORRI, Stato e Chiesa in Italia: dalla revisione concordataria alla “ seconda repubblica ”, in Quad. dir. pol. eccl., 2004/1, pp. 51-54.
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Lega nord, preoccupata che dalla approvazione della legge possano scaturire incontrollate aperture nei confronti di culti estranei alla nostra cultura e tradizione e forieri di problemi quali ad es. l’islam59, anche se in merito a quest’ultimo un tentativo maldestro di dare un segnale positivo viene fatto dal Governo nel 2005 con l’istituzione della Consulta per l’islam italiano60, e si spengono del tutto nell’aprile del 2006 con la fine della legislatura che ne provoca la decadenza.
All’inizio della XV legislatura vengono nuovamente ripresentate alla Camera dei deputati, con grande tempestività ed esattamente nello stesso giorno, il 28 aprile, le due proposte di legge degli onorevoli Spini (A. C. n. 134), che riproduce il testo del 2001, e Boato (A. C. n. 36) che, invece, è stata modificata tenendo conto dei rilievi che erano stati fatti durante la trascorsa legislatura e dei pareri emersi in sede di consultazioni61. Entrambe, nel periodo compreso tra luglio e settembre
59 Cfr. M.L. LO GIACCO, Libertà religiosa e circolazione dei modelli giuridici. Il disegno di legge italiano sulla libertà religiosa, in Dalla legge sui culti ammessi al progetto di legge sulla libertà religiosa, cit., pp. 255 ss. Trova estremamente riduttivo considerare l’Islam solo come una confessione religiosa piuttosto che “una civiltà, rispetto alla quale l’elemento religioso appare come il più importante”, M. TEDESCHI, L’Islam come confessione religiosa, in ID., Studi di diritto ecclesiastico, Jovene, Napoli, 2004, pp. 19-50.
60 La Consulta è stata istituita con decreto ministeriale del 10 settembre 2005, il cui testo è pubblicato in Quad. dir. pol. eccl., 2006/2, pp. 583-584. Essa è presieduta dal Ministro dell’interno, che ne designa i membri, ed ha il compito di dare pareri sulle questioni per le quali viene interpellata volti a favorire il dialogo e l’integrazione delle varie comunità musulmane presenti in Italia. Per approfondire l’argomento con le osservazioni critiche fatte dalla dottrina si rimanda a N. COLAIANNI, Musulmani italiani e Costituzione: il caso della Consulta islamica, in Quad. dir. pol. eccl., 2006/1, pp. 251 ss.; ID. Una «carta» post costituzionale? (A proposito di una recente iniziativa in tema di “integrazione”), in Quaderni di giustizia, 2007/3; G.B. VARNIER, La ricerca di una legge generale sulla libertà religiosa tra silenzi e rinnovate vecchie proposte, in Dir. eccl., 2007/1-2, pp. 198-200; M.C. FOLLIERO, La forma attuale della laicità e la (legge sulla) libertà religiosa possibile, ibidem, pp. 105-106; V. PACILLO, Dai principi alle regole? Brevi note critiche al testo unificato delle proposte di legge in materia di libertà religiosa, ibidem, pp. 159-160, nota 11; G. MACRÌ, Immigrazione e presenze islamiche in Italia: la Consulta per l’Islam, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2007.
61 Per un commento sui contenuti dei progetti di legge Boato e Spini del 2006 cfr. G. CASUSCELLI, Appunti sulle recenti proposte di legge in tema di libertà religiosa, in Dir. eccl., 2007/1-2, pp. 67 ss.; ID., Perché temere una disciplina della libertà religiosa conforme a Costituzione?, in Dir. eccl., 2007/3-4, pp. 21 ss.; P. LILLO, I limiti della libertà religiosa nei lavori parlamentari (XV legislatura), in Dir. eccl., 2007/1-2, pp. 123 ss.; L. MUSSELLI, Una libertà senza limiti? Osservazioni minime sulla proposta di legge d’iniziativa dei deputati Spini e altri, presentata il 28 aprile 2006 “norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi” e sulla proposta di testo unificato del 19 giugno 2007, ibidem, pp. 123 ss.; F. ONIDA, N. FIORITA, Cenni critici sui nuovi progetti di legge sulla libertà religiosa, ibidem, pp. 143 ss.
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2006, vengono trasmesse alla Commissione Affari costituzionali che il 24 novembre del 2006 ha indetto una consultazione ufficiale al fine di elaborare un testo sulla libertà religiosa condiviso anche dalla comunità scientifica, alla quale hanno partecipato alcuni docenti universitari di diritto ecclesiastico e di diritto pubblico62.
Negli stessi mesi sono state inoltre presentate al Senato due proposte di legge del medesimo tenore, una del sen. Malan (n. 945 del 12 settembre 2006), che riproduce il disegno di legge Berlusconi del 2002, l’altra della sen. Negri (n. 1160 del 14 novembre 2006) che ripropone il testo del 2001 in cui era primo firmatario l’on. Spini.
L’estate successiva, nella seduta del 4 luglio 2007, la I Commissione della Camera, ha approvato a maggioranza l’adozione di un testo unificato delle proposte di legge A. C. 36 e A. C. 134 di 47 articoli, elaborato dallo stesso relatore, on. prof. Zaccaria. Il testo unificato è sicuramente migliore dei precedenti e rappresenta una versione più moderna delle norme sulla libertà religiosa, anche se vi sono ancora delle lacune che la dottrina non ha mancato di fare rilevare63. Esso si è comunque arricchito nei contenuti, tra i quali figurano delle nuove disposizioni, ed è il frutto della personale preparazione ed esperienza e dell’impegno di chi lo ha predisposto, che nel suo lavoro ha dimostrato anche di tenere conto degli stimoli e delle osservazioni venuti fuori nel corso delle consultazioni con esponenti delle confessioni religiose ed operatori del diritto.
L’improvvisa caduta del governo Prodi ha fatto sì che anche il testo unificato facesse la stessa fine di quelli che lo avevano preceduto. All’inizio dell’attuale legislatura il disegno di legge Zaccaria, A. C. n. 448, Norme sulla libertà religiosa, è stato ripresentato alla Camera in data 29 aprile 2008 ed assegnato il 5 agosto 2008 alla I Commissione Affari costituzionali dove momentaneamente giace64. Le preoccupazioni manifestate al riguardo dalla Chiesa cattolica65, unite alla resistenza di
62 Cfr. sul punto V. TOZZI, Fasi e mezzi per l’attuazione del disegno costituzionale di disciplina giuridica del fenomeno religioso, in Dir. eccl., 2007/1-2, pp. 171-173, che alla nota 6 di p. 173 riporta anche i nomi dei presenti.
63 Cfr. V. PACILLO, Dai principi alle regole? Brevi note critiche al testo unificato delle proposte di legge in materia di libertà religiosa, cit., pp. 149 ss.; G. CASUSCELLI, Appunti sulle recenti proposte di legge in tema di libertà religiosa, cit.,. 67 ss.
64 Va detto per completezza che un’altra proposta di legge che ripropone il testo della sen. Negri, S. 618, Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi, è in attesa di essere esaminata dal Senato.
65 Un accenno all’atteggiamento ostile della Chiesa viene fatto da G. CASUSCELLI, Libertà religiosa collettiva e nuove intese con le minoranze confessionali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2008, p. 1.
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una certa classe politica ed al dato oggettivo della notevole quantità di emendamenti ed articoli aggiuntivi che sono stati presentati in questa fase, non lasciano affatto ben sperare in una sua rapida approvazione66.
4 - Le intese del 2007
I primi mesi del 2007 registrano una ripresa di attività sul fronte delle legislazione bilaterale ex art. 8, 3° c., Cost., che porta in breve alla firma contestuale di otto intese, un numero addirittura superiore rispetto a quelle fino a quel momento vigenti, anche se poi a ben guardare le intese con confessioni nuove sono effettivamente quattro, in quanto due sono la riproposizione con minimi aggiustamenti delle intese stipulate dal Governo nel 2000 e mai approvate dal Parlamento con i testimoni di Geova ed i buddisti, e altre due apportano delle modifiche alle intese con i valdesi e con gli avventisti.
Le intese firmate a Palazzo Chigi da Romano Prodi il 4 aprile 2007 mostrano come si stanno dilatando le comunità religiose ammesse ad avvalersi di questo strumento e come a quelle tradizionalmente presenti nel Paese (che facevano parte del primo gruppo di intese), se ne vadano via via aggiungendo altre di recente insediamento. Tutto ciò però non ha portato a registrare significative differenze né nei contenuti né nella struttura delle nuove intese che si sono ispirate ai modelli precedenti, realizzando quella distorsione dell’istituto tanto temuta ed avversata dalla dottrina.
Andando adesso ad esaminare nello specifico le singole intese, a partire da quelle nuove, iniziamo dall’Intesa con la Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale67.
Va detto subito che pur essendo l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia un ente di recente istituzione (1991), al contrario la presenza di comunità greco-ortodosse in Italia ha origini molto antiche e queste erano variamente diffuse nel Paese (Trieste, Venezia) ed in modo particolare nel meridione (Puglia, Calabria e Sicilia). Quindi non ci troviamo di fronte ad un nuovo culto anche se comunque rispetto alle confessioni tradizionali si riscontrano alcune novità. Questo interlocutore difatti non esaurisce il mondo degli ortodossi in Italia e non è paragonabile ad una chiesa sui iuris, rappresentando una diocesi
66 Cfr. sul punto R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori religiosi e rivendicazioni identitarie nell’autunno dei diritti, Giappichelli,Torino, 2008, pp. 132-137.
67 Per un commento più esaustivo dell’intesa si rinvia a G. MORI, Ortodossia e intesa con lo Stato italiano: il caso della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’ Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, in Quad. dir. pol. eccl., 2007/2, pp. 399 ss.
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del Patriarcato ecumenico che ne elegge il Metropolita ed i vescovi ausiliari.
L’Intesa è stata preceduta nel 2001 dalla configurazione di una bozza d’intesa68, contenente lo stesso numero di articoli (26), ma nel confronto dei due documenti si nota in quello più recente un maggiore appiattimento dei contenuti per uniformarsi al modello di intesa che la stipulazione delle prime sei aveva contribuito a configurare69.
Nei primi articoli dell’intesa sono scomparsi così i riferimenti agli ordinamenti della confessione, e dove nella bozza si parlava di sacro clero e di ordine monastico, nell’intesa questi termini sono stati sostituiti da quello più neutro di ministro di culto.
Le norme sulla assistenza spirituale ai militari, ricoverati e detenuti (artt. 3-4-5) e sulla istruzione religiosa (artt. 6-7) ripetono in buona sostanza quanto già detto nelle intese precedenti. La disciplina del matrimonio si uniforma a quella delle intese con chiese evangeliche (art. 8), per cui la lettura degli articoli del codice civile sui diritti e doveri dei coniugi è anticipata alla fase delle pubblicazioni, ma ai coniugi è possibile rendere nell’atto di matrimonio le dichiarazioni ammesse dalla legge civile, disposizione che in precedenza era stata inserita solo nel nuovo accordo con la Chiesa cattolica, nell’intesa ebraica ed in quella mai approvata con i testimoni di Geova e che compare, invece, nelle altre intese del 2007 ad eccezione di quella con i buddisti che non contiene alcuna regolamentazione del matrimonio.
Agli ortodossi viene riconosciuto un maggiore numero di festività rispetto alle altre confessioni, anche se delle tredici elencate nella bozza l’Intesa ne riporta solamente otto (art. 9), e viene inoltre specificato che dietro richiesta dei genitori gli alunni possono assentarsi dalla scuola in queste ricorrenze e nel giorno di Venerdì Santo.
Nell’articolo riguardante gli immobili destinati al culto non viene più fatta menzione dei monasteri e cimiteri, che erano stati indicati nella bozza, limitando le garanzie ivi previste ai soli edifici aperti al culto pubblico (art. 10).
68 La bozza è stata pubblicata in Quad. dir. pol. eccl., 2001/2, pp. 603 ss.
69 Per completezza va detto che, restando sempre in ambito ortodosso, una bozza d’intesa, sicuramente più originale, è stata presentata nel 2002 dalla Associazione dei Cristiani ortodossi d’Italia, riconosciuta con D.P.R. del 14 gennaio 1998, in cui con riferimento al ministero sacerdotale e al matrimonio sono state avanzate delle proposte molto particolari che rispecchiano la normativa canonica ortodossa, differenziandosi dall’intesa in essere che sembra più interessata ad omologare la confessione alla condizione giuridica delle altre che hanno ottenuto la intesa. La bozza 25 marzo 2002, Proposta di intesa tra la repubblica italiana e la Chiesa ortodossa tradizionale, risulta sotto questo aspetto abbastanza interessante e la si può leggere sul sito www.olir.it dove è pubblicata nella sezione documenti.
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Gli articoli sulla collaborazione con lo Stato per la tutela e valorizzazione dei beni culturali ortodossi (art. 11) e sulle emittenti radiotelevisive (art. 12) non aggiungono nulla di nuovo a quanto stabilito nelle altre intese che contengono disposizioni analoghe.
La normativa sugli enti specifica, oltre agli enti ortodossi già esistenti e riconosciuti da lunga data che vengono elencati singolarmente, anche le varie tipologie di enti ortodossi che potrebbero chiedere il riconoscimento della personalità giuridica, prevedendo che in questo caso il fine di religione o di culto può essere solo o congiunto con quelli di istruzione, assistenza e beneficenza (art. 13). Gli articoli da 14 a 18 stabiliscono il regime degli enti ecclesiastici ortodossi che non presenta particolari novità, che non si evidenziano neanche nella norma successiva sulla deduzione agli effetti IRPEF delle donazioni liberali di modico valore (art. 19).
L’Arcidiocesi partecipa al riparto delle somme derivanti dall’otto per mille dell’IRPEF, anche per le scelte non espresse, e mentre nella bozza era stata apposta una restrizione per la destinazione di queste ultime, limitandola alle sole attività assistenziali e pastorali, l’intesa stabilisce la totale equiparazione delle somme riguardo alla destinazione (art. 20, 3°c.).
A chiusura dell’Intesa si trova una disposizione mutuata dalle precedenti del 2000 con i testimoni di Geova ed i buddisti che impegna il Governo a richiedere al Parlamento l’approvazione della stessa, presentando l’apposito disegno di legge, che ritroviamo peraltro in tutte le altre intese del 2007 (art. 26).
L’Intesa con la Chiesa apostolica in Italia (CAI), si colloca, invece, nel contesto delle intese effettuate con chiese evangeliche, ed è giunta a conclusione dopo lunghe trattative, iniziate nel 1991, che hanno visto come interlocutori della confessione governi di diverso colore politico.
Essa consta di un Preambolo e di 32 articoli. Il Preambolo è una copia di quello della intesa con le ADI (l. 517/88) che sembra avere ispirato anche la maggior parte delle disposizioni contenute nel testo. Esso all’inizio richiama alcune convenzioni internazionali che garantiscono la libertà religiosa assieme ai commi 2° e 3° dell’art. 8 della Costituzione, e afferma l’opportunità di addivenire all’intesa, facendola precedere dalla constatazione della inidoneità della legislazione sui culti ammessi a regolare i rapporti tra lo Stato e la confessione, mettendo così in correlazione questi due elementi quasi a sottolineare il motivo che spinge le confessioni verso questo tanto ambito obiettivo.
Questa prima parte è identica ai preamboli delle intese con i buddisti e con gli induisti e simile a quello dell’intesa con i mormoni che riporta delle ulteriori specificazioni.
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Nella seconda parte, vi sono delle affermazioni sul fatto che la confessione non ritiene necessaria una tutela penale specifica del sentimento religioso e non è interessata allo svolgimento di un insegnamento catechetico nelle scuole pubbliche che ritroviamo in altre intese e che sono state espresse per la prima volta negli articoli 4 e 9 dell’Intesa valdese.
Il testo dell’Intesa presenta gli stessi limiti del suo preambolo, ovvero contiene pochissime norme rivelatrici dell’identità confessionale a fronte di tante altre mutuate dalle intese precedenti e sulle quali, proprio per questo, sembra inutile soffermarsi70.
I soli profili di specificità che è dato rinvenire nell’Intesa sono le competenze attribuite al Consiglio Nazionale della CAI che diventa diretto interlocutore dello Stato nel caso di provvedimenti volti ad incidere sul regime giuridico degli edifici di culto (art. 13, c.1°), nel procedimento di attribuzione della personalità giuridica ad un ente della CAI (art. 14, c. 2°) o di revoca di quest’ultima (art. 19, c. 2) ed al quale inoltre spettano la facoltà di nominare i ministri di culto come anche di dichiararne l’eventuale cessazione (art. 2, c. 1°) e, nel caso di richieste in ordine allo studio del fatto religioso, di designare i soggetti destinati ad esplicare questa attività (art. 9, c. 1°).
Riguardo al finanziamento della confessione l’art. 23 dell’Intesa specifica, in maniera similare alle altre confessioni di fede evangelica, che la CAI si sostiene attraverso le offerte dei propri fedeli e simpatizzanti e prevede una deduzione fiscale delle erogazioni liberali in denaro fino all’importo di euro 1032,91. Nel successivo art. 24 è regolata, invece, la partecipazione della confessione al sistema dell’otto per mille, destinando tali introiti ad interventi sociali, culturali e
70 Va detto però che rispetto all’Intesa con le ADI, che è quella che maggiormente le assomiglia, l’Intesa con la Chiesa apostolica aggiunge degli elementi nuovi, come ad esempio l’inserimento di un articolo specifico che prevede determinate garanzie per i ministri di culto, tra le quali anche la possibilità, nel caso di ripristino del servizio obbligatorio di leva, di essere dietro richiesta esonerati dal servizio militare o assegnati al servizio civile o addirittura dispensati se aventi cura d’anime (art.2), l’avere stabilito in maniera più dettagliata le modalità di assistenza spirituale dei militari (art.3) e la previsione nella normativa sul matrimonio dell’inserimento delle dichiarazioni accessorie dei coniugi. L’arricchimento del contenuto normativo è comunque in linea con i cambiamenti avvenuti nelle intese successive alle prime, in cui le confessioni hanno richiesto e ottenuto nella disciplina delle materie contrattate, che si sono andate anch’esse estendendo, maggiori garanzie ed un trattamento sempre più modellato su quello di cui aveva goduto in precedenza la sola confessione cattolica.
Per maggiori informazioni riguardo al contenuto dell’intesa si rimanda al commento di L. GRAZIANO, Andando oltre la “standardizzazione” delle intese: la Chiesa apostolica in Italia e l’art. 8.3 della Costituzione, in Quad. dir. pol. eccl., 2007/2, pp. 353 ss.
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umanitari anche a favore di Paesi esteri, con la rinuncia alla quota derivante dalle scelte non espresse.
La parte conclusiva dell’Intesa (artt. 29-32) è del tutto esente da qualsiasi profilo di originalità, essendo uguale a quella dell’Intesa con la Sacra Arcidiocesi ortodossa (artt. 23-26) ed anche, come vedremo, a quella delle intese che ci accingiamo ad esaminare. Essa riguarda l’emanazione delle norme di attuazione, la cessazione di efficacia della normativa sui culti ammessi, le modalità con cui apportare modifiche all’intesa stessa e contiene l’impegno da parte del Governo della presentazione in Parlamento dell’apposito disegno di legge di approvazione.
L’Intesa con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, i cui fedeli sono conosciuti col nome di mormoni71, vede come controparte dello Stato una confessione cristiana che sviluppa il suo credo attorno alla figura di Cristo, visto come Figlio di Dio e Salvatore del mondo72. Essa presenta una serie di peculiarità ed è strutturata in maniera differente rispetto alle altre confessioni cristiane, e ciò in parte emerge dal protocollo della intesa, in cui compare qualche elemento nuovo che la caratterizza e la contraddistingue rispetto alla altre intese della seconda stagione.
L’Intesa è composta da un preambolo e da 28 articoli. Il Preambolo, pur uniformandosi per buona parte a quelli delle intese precedenti e coeve, contiene due enunciati originali che sono di particolare interesse nell’ interpretazione dell’intesa in quanto fungono
71 Per più ampi ragguagli cfr. T.F. O’DEA, I mormoni, Firenze, 1961; M. INTROVIGNE, I mormoni. Dal far west alle Olimpiadi, Elledici, Torino, 2002.
72 La Chiesa ha preso piede in Italia nel 1850 in seguito all’arrivo a Genova di alcuni missionari mormoni ma per parecchio tempo il numero dei proseliti è rimasto decisamente esiguo. La sua attività è stata riorganizzata ed incrementata a partire dal 1966, anno in cui si contano una sessantina di aderenti, e nel 1993, ai sensi dell’art. 2 della l. 1159/29, con D.P.R. 23.02.1993 è stata riconosciuta la personalità giuridica dell‘Ente Patrimoniale della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni che nel frattempo aveva visto crescere considerevolmente il numero dei propri membri, diventati circa quindicimila. L’inizio delle trattative per l’emanazione dell’intesa risale al 1997 e nei 10 anni intercorsi fino alla stipulazione si è registrato un ulteriore incremento delle dimensioni della Chiesa a cui adesso aderiscono circa ventiduemila fedeli divisi in 104 congregazioni, e può contare su una solida struttura organizzativa della quale fanno parte circa seicento missionari, duecento dirigenti e un centinaio di case di riunione.
Per maggiori notazioni storiche sulla Chiesa ed un ampio commento sul contenuto dell’intesa si rinvia a V. PACILLO, L’intesa con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi giorni: prime considerazioni, in Quad. dir. pol. eccl., 2007/2, pp. 371 ss. Ulteriori informazioni sulla struttura e la dottrina della Chiesa possono reperirsi dalla consultazione del suo sito ufficiale www.chiesadigesucristo.it.
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da linee guida della stessa, ovvero: che “uno dei principi della Chiesa è obbedire, onorare e sostenere le leggi”e che “la Chiesa non intende partecipare alla ripartizione dell’otto per mille dell’IRPEF”.
La soggezione della Chiesa nei confronti delle leggi civili e di conseguenza anche del potere politico emerge anche dalla lettura del libri sacri, che impongono tale atteggiamento ai fedeli, richiedendo però ai governi la salvaguardia dei principi inviolabili.
Gli articoli 1 e 2 assicurano in vario modo e nelle sue più concrete manifestazioni il diritto di libertà religiosa e l’autonomia della Chiesa.
L’art. 3 sui ministri di culto è molto più dettagliato rispetto alla generica disposizione delle altre intese perché specifica le singole categorie di soggetti alle quali può essere attribuita tale qualifica assieme alle funzioni che svolgono per la Chiesa.
L‘art. 4 prevede determinate garanzie per i missionari ed i Presidenti di missione, tra cui la concessione se stranieri di permessi di soggiorno per un tempo determinato e rinnovabili una sola volta. Essi esplicano la loro attività volontaria e gratuita esercitando le funzioni indicate al comma 2.
L’Intesa non prevede alcun riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare ma solo la possibilità di ottenere un rinvio non superiore a trenta mesi per i missionari a tempo pieno che lo richiedano nel caso di ripristino del servizio di leva obbligatorio (art. 5).
Le disposizioni sull’esercizio della libertà religiosa nelle strutture obbliganti sono simili a quelle di altre intese (artt. 6-10).
L’art. 11 sull’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche richiama fortemente gli artt. 9 e 10 dell’Intesa valdese, il cui contenuto lo si ritrova del resto in diverse altre intese che in questo ambito si sono modellate su questa; anche il successivo art. 12, sull’istituzione di scuole ed istituti di educazione, nei primi due commi ricalca quanto detto in intese precedenti, ma al comma 3 aggiunge un elemento nuovo, ossia la possibilità per gli studenti delle scuole istituite dalla Chiesa, a cui sia riconosciuta la parità, di usufruire, alla pari degli studenti degli istituti statali, dei rinvii per il servizio militare nel caso sia ripristinato il servizio obbligatorio di leva.
L’art. 13 che contiene la disciplina del matrimonio si apre con un comma identico al primo del corrispondente art. 13 dell’Intesa con la CELI, riconoscendo allo Stato giurisdizione esclusiva sugli effetti civili del matrimonio e ribadendo al tempo stesso l’autonomia della Chiesa in materia di religione e di culto. L’analogia con la CELI si ferma però alla prima parte della disposizione dato che per il resto del procedimento il matrimonio mormone assomiglia di più a quello ebraico, essendo analoghe le funzioni dei rispettivi ministri di culto, tenuti a leggere ai
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coniugi dopo la celebrazione gli articoli 143, 144 e 147 c.c. ed a ricevere le loro eventuali dichiarazioni accessorie per inserirle nell’atto di matrimonio. Le peculiarità della dottrina mormone in tema di matrimonio e famiglia sono state dunque del tutto lasciate fuori dall’intesa che ha preferito uniformarsi al modello già collaudato dalle intese precedenti ad ulteriore conferma che le confessioni sono sempre più disposte a rinunciare anche al riconoscimento dei tratti più significativi della loro identità pur di acquisire quello status privilegiato che viene loro riconosciuto dopo essere state ammesse al beneficio della contrattazione bilaterale.
L’art. 14 sulla tutela degli edifici di culto, oltre alle medesime garanzie previste all’uopo nelle altre intese, specifica, al comma 3, che lo Stato prende atto del fatto che le attività di culto possono svolgersi anche al di fuori degli edifici destinati a tale scopo, riprendendo una formula sperimentata nell’art. 14.3 dell’Intesa con la CELI, il cui significato sul piano pratico resta comunque poco chiaro.
Le norme sul riconoscimento e la gestione degli enti ecclesiastici (artt. 16-19) riproducono il contenuto di intese precedenti, mentre sono originali le disposizioni degli articoli 20 e 21.
Nel primo (art. 20) è prevista l’esenzione da qualsiasi tributo o onere sui trasferimenti a titolo gratuito di beni immobili in favore dell’Ente Patrimoniale della Chiesa effettuati entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa da parte di alcune corporazioni estere specificatamente individuate. Desta peraltro meraviglia e non si capisce il senso dell’inserimento di un’esenzione fiscale così ampia ed indeterminata, che finisce col creare una disparità di trattamento tra enti ecclesiastici che non appare fondata su un criterio logico e che per questo potrebbe essere anche ritenuta costituzionalmente illegittima, in una intesa dove la confessione si è premurata di asserire fin dal preambolo la sua rinuncia alla partecipazione al sistema di finanziamento pubblico a meno che questa decisione non sia stata il frutto di una scelta ragionata per potere usufruire di un regime fiscale altrettanto vantaggioso e diverso.
Il successivo art. 21, che elenca le attività che ai fini del riconoscimento degli enti possono essere considerate di religione o di culto e le attività diverse da queste, termina con la presa d’atto da parte dello Stato che la Chiesa include nella cura delle anime la ricerca genealogica necessaria per la salvezza delle anime degli antenati, da esercitare comunque nel rispetto delle leggi vigenti. L’avere ricompreso un’attività di questo genere tra quelle di religione o di culto risponde ad una necessità oggettiva della Chiesa e mette in risalto una sua peculiarità ma può fare sorgere una serie di problemi primo tra tutti la
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compatibilità della disposizione con quelle che prevedono determinate agevolazioni per gli enti ecclesiastici, proprio per incentivare le attività tradizionali di religione o di culto, e anche in secondo luogo con le norme dell’ordinamento italiano poste a tutela del diritto alla riservatezza.
Gli articoli 22 e 23 che regolano il regime tributario degli enti e la deducibilità dal reddito complessivo delle persone fisiche delle donazioni in denaro fatte a favore dell’Ente Patrimoniale della Chiesa fino all’importo di euro 1032,91 non aggiungono nulla di nuovo rispetto al contenuto delle altre intese. La deducibilità delle erogazioni liberali fatte dai fedeli e simpatizzanti delle varie chiese, che è senza dubbio un incentivo non indifferente che può avere il suo peso nella decisione di chi dona, è dunque ormai data per scontata da tutte le confessioni, anche da quelle, sempre più rare, come la Chiesa in questione che hanno rifiutato di usufruire di un altro vantaggio, ormai generalizzato per le confessioni che stipulano un’intesa, che è la partecipazione al sistema dell’otto per mille.
L’art. 24 istituisce un regime particolare per la sepoltura dei mormoni, disciplinata da un regolamento emanato dalla Chiesa stessa in conformità con la corrispondente normativa italiana, e prevede la concessione a tale scopo di aree particolari nei cimiteri da rinnovare ogni novantanove anni in modo da rendere queste sepolture perpetue secondo la tradizione della Chiesa. Questo articolo, che pure manifesta una particolare esigenza della confessione, non è originale, in quanto ha come diretto antecedente l’articolo 16 dell’Intesa con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane che è formulato in maniera quasi analoga73.
Le disposizioni finali (artt. 25-28) sono eguali a quelle delle altre intese stipulate nel 2007 e pertanto non richiedono un ulteriore commento.
L’ultima delle nuove intese del 2007 include nella rosa delle confessioni ammesse alla contrattazione bilaterale del loro rapporto con lo Stato un soggetto, l’Unione induista italiana (UII), che rappresenta una realtà religiosa (e non solo) abbastanza complessa e variegata quale l’induismo che per molti aspetti esula dalla concezione occidentale di religione formatasi sulla tradizione giudaico-cristiana74.
73 Un riferimento al trattamento delle salme è contenuto anche nell’art.8 dell’Intesa con l’UBI del 2000, riprodotto nella versione più moderna del 2007, e nell’art.9 dell’Intesa con l’UII del 2007 che è peraltro identico a questi ultimi, ma la disposizione nelle intese appena citate è molto più scarna e non si fa alcun accenno alle sepolture perpetue.
74 Questo tabù come abbiamo visto era stato infranto qualche anno prima, con la sottoscrizione nel 2000 della intesa con l’UBI, in cui le differenze con le religioni
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L’associazione religiosa denominata Unione induista italiana (UII) Sanatana Dharma Samgha75, è stata costituita in Italia nel 1996 ed ha ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica con D.P.R. del 9 dicembre 2000. Secondo lo Statuto essa opera per “la tutela, la coordinazione, lo studio, la pratica della religione e della cultura induista”.
Ad essa hanno aderito circa cinquemila fedeli (tra cui parecchi cittadini italiani) e numerosi centri ed associazioni religiose legati a differenti scuole e dottrine dell’induismo, che non esauriscono il mondo dell’induismo italiano in quanto vi sono anche altri movimenti che ne sono rimasti fuori pur avviando con l’UII dei rapporti di collaborazione76.
Prima di esaminare in dettaglio il contenuto dell’intesa sembra opportuno fare una ulteriore premessa e cioè che l’UII è espressione di una realtà rapportata all’Italia, di un induismo quindi costretto a rinunciare ad alcuni rituali che lo caratterizzano, come ad es. i bagni e le immersioni nelle acque sacre, per la mancanza in questo territorio di fiumi sacri, o alle pire o ai sacrifici animali, vietati dal nostro ordinamento. La disciplina pattizia si è così modellata sulle altre intese e sono pochissime anche in questa le disposizioni identitarie.
L’Intesa con l’UII consta di un preambolo e di 29 articoli. Sul primo non ci soffermeremo in quanto esso è identico a quelli di altre
occidentali erano ancora più accentuate dato che nel buddismo manca del tutto il rapporto con la divinità, mentre nell’induismo è presente un profilo teistico, anche se con delle connotazioni molto particolari. La convergenza su alcune verità di fede contenute nelle sacre scritture fondate sulla Legge eterna, Sanatana Dharma, funge inoltre da filo conduttore ed elemento di coesione tra le molteplici forme assunte dall’induismo nelle singole regioni dell’India, dove esso si fonde con gli usi, tradizioni e culture locali, dando vita a differenti correnti, che hanno un altro importante comune denominatore nel dato territoriale, ovvero quello di essere inscindibilmente legate all’India. Lo stretto legame esistente tra l’induismo ed il Paese di origine è stato messo in risalto da alcuni studiosi che lo hanno definito come “ la cultura tradizionale della India” o come “religione a base etnica”. Si vedano in proposito gli scritti di S. PIANO, Lo hinduismo oggi, in AA. VV., L’Hinduismo, a cura di G. Filoramo, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 265 e M. PIANTELLI, “ Religione” e “ religioni” nel mondo indiano, in L’Hinduismo, cit., p. 7. Per approfondire l’argomento si rinvia anche a G.R. FRANCI, L’Induismo. La cultura e le tradizioni dell’oriente indiano, il Mulino, Bologna, 2005; VASUDHA NARAYAN, Capire L’induismo, Feltrinelli, Milano, 2007.
75 Il riferimento alla Legge eterna contenuto nel nome dell’associazione è sembrato più appropriato del termine di induismo, troppo saldamente ancorato alla realtà indiana. Cfr. S. PIANO, Sanatana-Dharma. Un incontro con lo “induismo”, ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1996.
76 Per informazioni più estese e dettagliate sulle attività dell’UII e dei centri induisti presenti in Italia cfr. P. FANTELLI, L’induismo nel nostro tempo. Gli interlocutori confessionali in Italia e le prospettive della nuova intesa, in Dir. eccl., 3-4, 2007, pp. 64-69.
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intese, sia precedenti che coeve. Il protocollo, inoltre, è molto simile a quello dell’intesa con l’UBI da cui si differenzia per pochi elementi, che riguardano più la forma che la sostanza delle disposizioni, e per la presenza di due articoli in più, uno riguardante il matrimonio, istituto non disciplinato dalla dottrina buddista, e l’altro il regime delle emittenti radiotelevisive, mutuato fedelmente dalle intese che se ne sono occupate.
Gli articoli da 1 a 7, con formulazioni analoghe a quelle che si rinvengono nel testo di altre intese, affermano l’autonomia dell’UII, garantiscono in vario modo la libertà religiosa della confessione e dei suoi aderenti, contengono una disposizione volta ad assicurare agli aderenti all’UII, in caso di ripristino del servizio militare obbligatorio, il diritto di essere assegnati al servizio civile; disciplinano l’assistenza spirituale nelle strutture obbliganti e le modalità con cui deve essere impartito l’insegnamento religioso nelle scuole assieme alla possibilità di istituire scuole ed istituti di educazione; assicurano, infine, ai ministri di culto, rimandando per tale qualifica alla definizione contenuta nell’art. 26 dello Statuto77, tutta una serie di diritti come il segreto di ufficio, la possibilità di iscriversi al fondo di assistenza e previdenza per il clero e di svolgere il servizio civile nel caso di ripristino del servizio obbligatorio di leva.
La normativa sul matrimonio affida all’ufficiale di stato civile incaricato di effettuare le pubblicazioni il compito di leggere ai coniugi gli articoli del codice civile e consente al ministro di culto di inserire nell’atto di matrimonio le c.d. dichiarazioni accessorie (art. 8).
La disciplina del trattamento delle salme è contenuta nell’art 9 e la formula utilizzata è identica a quella riportata nell’Intesa buddista. La norma è molto generica e si limita a prevedere la possibilità di seppellire i defunti secondo le proprie tradizioni, nel rispetto delle leggi italiane, e di ottenere delle aree riservate nei cimiteri. Gli indù normalmente praticano la cremazione delle salme attenendosi alle disposizioni del diritto comune in materia che sono contenute nella l. 30 marzo 2001, n. 130.
77 Dal momento che manca nell’induismo una figura rispondente al modello tradizionale di ministro di culto, per individuare tali soggetti si fa riferimento a quanto stabilito dall’art. 26 dello Statuto dell’UII secondo cui devono essere considerati come ministri di culto: “tutti i monaci, swami, pandit, che appartengono alla tradizione hindu e vengono autorizzati dall’Unione Induista italiana a svolgere mansioni religiose oltre che alla iniziazione e formazione degli aspiranti all’esercizio religioso”.
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Nell’art. 10 sono specificate le attività considerate di religione o di culto ai fini del riconoscimento degli enti e vengono anche elencati i testi sacri la cui lettura rientra tra queste attività.
Il regime degli enti ecclesiastici, delineato dagli articoli 11-15, è in buona sostanza eguale a quello delle altre confessioni con intesa.
È prevista una tutela specifica per gli edifici aperti al culto pubblico ricompresi nello elenco trasmesso dall’UII alle competenti autorità governative che estende a questi quanto riconosciuto in materia alle altre confessioni (art. 16). A questo proposito va specificato che il luogo di culto induista non è necessariamente un tempio, il quale spesso funge da dimora dell’idolo, è di dimensioni molto contenute, (potremmo definirlo con lessico cattolico più una cappella che una chiesa), e vi può avere accesso solo il sacerdote officiante per cui non può servire da luogo di riunione dell’assemblea dei fedeli. Ciò comporta che in Italia vengono spesso destinate a questo scopo abitazioni private o sedi di organismi rappresentati dall’UII e questo nella pratica potrebbe fare sorgere tutta una serie di problemi, e non di poco conto, dei quali l’intesa sembra del tutto disinteressarsi.
Vi è un’apposita norma per la tutela dei beni culturali ecclesiastici (art. 17).
L’UII aderisce in maniera totale al sistema di finanziamento statale delle confessioni e l’Intesa assicura tanto la possibilità di dedurre dall’IRPEF le erogazioni liberali fino allo importo di euro 1032,91 (art. 19) che la partecipazione all’otto per mille tanto per le scelte espresse che per quelle non espresse, destinando le somme ricavate alle stesse finalità (art. 20). Piccole differenze rispetto all’Intesa con l’UBI emergono proprio nella parte che riguarda la destinazione delle somme.
Le eventuali modifiche inerenti a questi importi dovranno essere decise da un’apposita commissione paritetica (art. 21).
Nella parte finale dell’Intesa troviamo il riconoscimento di una sola festa religiosa, Dipavali, che rappresenta la Vittoria della Luce sull’Oscurità, celebrata nel giorno di luna nuova tra la seconda metà di ottobre e la prima di novembre, la cui data dovrà essere comunicata ogni anno entro il 15 gennaio al Ministero dell’interno (art. 24).
Le ultime disposizioni (artt. 26-29) sono uguali a quelle delle altre intese coeve.
Le intese che stiamo per prendere in considerazione, venute alla luce per la seconda voltail 4 aprile2007, ripropongono i protocolli siglati il 20 marzo 2000dal Governo D’Alema con la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova e l’Unione Buddista italiana, che erano stati
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penalizzati dalla fine della XIII legislatura che aveva posto fine anche al loro iter parlamentare.
Il testo dell’Intesa con i Testimoni di Geova è rimasto del tutto immutato, e dunque è identico al precedente, con la sola eccezione dell’art. 16 dove è disciplinata la deducibilità delle erogazioni liberali dall’IRPEF, in cui l’importo del limite massimo, prima indicato in lire (due milioni) è stato dichiarato in euro (1032,91).
Alcune modificazioni, anche se di poco conto, che prendono atto dei cambiamenti avvenuti nell’ordinamento italiano nei sette anni trascorsi dalla firma della precedente, sono state apportate, invece, nella nuova Intesa con l’UBI.
Le formule riviste rispecchiano principalmente le novità introdotte nell’ambito del servizio militare dalle leggi n. 331 del 2000 e n. 226 del 2004 che hanno statuito la cessazione dell’obbligo di leva78. Si è reso così necessario modificare gli articoli 3 (servizio militare) e 4 (assistenza spirituale alle forze armate) che assicuravano agli appartenenti agli organismi rappresentati dall’UBI la possibilità di svolgere il servizio civile nel rispetto delle leggi sull’obiezione di coscienza, garantendo loro nuovamente l’esercizio di tale facoltà nel caso di ripristino del servizio militare obbligatorio.
Variazioni di minore rilievo sono state apportate anche al testo degli articoli 5 e 6 che disciplinano l’insegnamento della religione nella scuola pubblica ed il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, recependo le innovazioni contenute nel D.P.R. n. 275 del 1999 e nella l. n. 62 del 200079.
In ultimo, l’art. 18 presenta una correzione della somma entro la quale è consentita la possibilità di dedurre dal reddito IRPEF le erogazioni liberali in denaro, precedentemente espressa in lire, il cui valore è stato convertito in euro.
Come emerge dalla comparazione del contenuto dei due protocolli (2000 e 2007) le modifiche apportate sono di minima entità e risultano del tutto trascurabili in una valutazione complessiva dell’intesa che in buona sostanza è rimasta ferma alla struttura del 2000 80. Ciò è da imputare anche al fatto che è stata utilizzata una procedura
78 Si tratta appunto della l. 14 novembre 2000, n. 331, Norme per l’istituzione del servizio militare professionale e della l. 23 agosto 2004, n. 226, Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva.
79 Trattasi del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e della l. 10 marzo 2000, n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione.
80 Per un esame più dettagliato dei contenuti dell’intesa cfr. S. ANGELETTI, La nuova intesa con l’Unione Buddhista Italiana: una doppia conforme per il Sangha italiano, in
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piuttosto singolare, che non avrebbe consentito di apportare significativi aggiornamenti, in quanto il testo è stato riscritto solo dalla commissione governativa che non ha ritenuto necessario riaprire le consultazioni con i legali rappresentanti dell’UBI, i quali si sono in definitiva limitati a sottoscriverlo.
Chiudono quest’elenco delle intese siglate nel 2007 le modifiche apportate a due intese già in vigore, con la Tavola valdese e con l’Unione delle Chiese cristiane avventiste del settimo giorno.
La Tavola valdese muta drasticamente la sua posizione iniziale di rifiuto del sistema pubblico di finanziamento delle confessioni (l. 11 agosto 1984, n.449), che l’aveva portata in un primo momento ad aderire solo parzialmente, per le scelte espresse (l. 5 ottobre 1993, n. 409), richiedendo dipartecipare anche al riparto delle somme derivanti dalla percentuale dell’otto per mille attribuita in base alle scelte non espresse dai contribuenti, nella stessa proporzione delle scelte espresse.
L’Unione delle Chiese cristiane avventiste del settimo giorno (UICCA) amplia il numero dei titoli di studio riconosciuti dall’art. 14 della l. 22 novembre 1988, n. 516, richiedendo il riconoscimento anche delle lauree in teologia rilasciate dall’Istituto avventista di Cultura biblica “ Villa Aurora” di Firenze.
Questi due protocolli si sono distinti dal resto delle intese firmate da Prodi perché sono gli unici che dopo la fine della legislatura sono stati presentati dal Governo successivo in Parlamento per completare il procedimento necessario per la loro entrata in vigore nell’ordinamento italiano. La loro natura di modifiche ad intese già esistenti ha fatto sì che questi, superando le perplessità e le obiezioni suscitate nei confronti delle altre intese coeve, proseguissero il loro percorso da soli senza incontrare ostacoli particolari nel corso dell’esame da parte di entrambe le Camere, che li hanno approvati contestualmente con l. 8 giugno 2009, n. 68 (Tavola valdese) e l.8 giugno 2009, n. 67 (Chiese cristiane avventiste)81.
5 - I problemi suscitati dalla mancata approvazione delle intese
Sono trascorsi quasi tre anni dalla fatidica data del 4 aprile 2007 in cui il governo Prodi, dopo avere ripreso le trattative instaurate dai governi precedenti (D’Alema e Berlusconi) con alcuni gruppi religiosi, è giunto
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81 Entrambe le leggi sono pubblicate in Quad. dir. pol. eccl., 2009/2, pp. 644-645. Per ulteriori notizie cfr. L. LACROCE, Cronaca legislativa, ibidem, pp. 278-279.
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alla simultanea firma di otto intese, estendendo la possibilità di addivenire ad una legislazione contrattata, prevista dall’art. 8, 3°c. Cost., a ben sei nuove confessioni, alcune delle quali anche non appartenenti al ceppo giudaico-cristiano, requisito che sino a quel momento aveva caratterizzato i soggetti religiosi che avevano stipulato intese con lo Stato.
Allo stato attuale, come abbiamo visto, solo le modifiche alle intese valdese ed avventista hanno concluso in maniera soddisfacente l’iter necessario per la loro approvazione, avvenuta peraltro in tempi molto recenti. Tutte le altre intese restano nel limbo, in una sorta di terra di nessuno da dove non è chiaro se potranno mai uscire, come non sono chiari i tempi dell’attesa, generando conseguentemente uno stato di grande incertezza nelle confessioni interessate. Queste nel 2007 avevano festeggiato la felice conclusione di una lunga trattativa ed ora si ritrovano a constatare quanto la loro sia stata una vittoria di Pirro e come della loro condizione siano ancora una volta arbitri Governo e Parlamento, che possono, senza neanche assumere posizioni più decise che potrebbero risultare impopolari, semplicemente con la loro inerzia, vanificare gli accordi. Ciò del resto è già stato sperimentato dai buddisti e dai testimoni di Geova che nel 2000 avevano stipulato contestualmente la prima intesa e dopo sette anni si sono ritrovati ancora una volta insieme a rifirmarla82.
Nonostante la precarietà della loro situazione, va detto che fino ad ora le confessioni interessate si sono comportate con molto fair play, limitandosi a richiedere al Governo, con toni molto contenuti e scevri da ogni polemica83, di sottoporre le intese al Parlamento per la ratifica, ed a tale scopo si sono coordinate, avviando una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica volta a raccogliere le firme di coloro che sono favorevoli alla presentazione dei disegni di legge84. È rimasta fuori dalla coalizione, per sua scelta, la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova.
La situazione di stallo venutasi a creare mette in evidenza che nel sistema sino ad ora seguito per dare attuazione alle intese vi sono delle
82 Va precisato a tal proposito che le due intese del 2000, a differenza delle ultime, erano state presentate dal Governo in Parlamento, dove comunque si erano arenate, e poi sono decadute per la fine della legislatura. Entrambe sono state ripescate dall’oblio dal Governo successivo (Berlusconi) che le aveva riprese in esame, e sono state poi risiglate da Prodi nel 2007.
83 Cfr. D. MASELLI, Breve scheda sulle intese tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in www.buddhismo.it.
84 Sul sito internet www.coalizioneintesereligiose.it, dove è anche possibile sottoscrivere l’appello, possono reperirsi maggiori informazioni.
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zone d’ombra, se non addirittura delle lacune, che si incentrano in parte sui rapporti che dovrebbero intercorrere tra Governo e Parlamento durante tutto il procedimento volto alla definizione di un’intesa, e in parte sulla mancata previsione di termini. Sembrerebbe a tal proposito opportuno che già sin dal momento in cui il Governo si decide ad avviare le trattative con una determinata confessione religiosa, il Parlamento ne venga messo a conoscenza e nel corso del tempo sia poi in qualche modo reso partecipe del loro contenuto, in maniera che i due organi agiscano con una certa sintonia e che non si colga il rischio che il secondo, chiamato successivamente a pronunciarsi per l’approvazione della legge corrispondente, sconfessi apertamente l’operato del Governo, con gravi ricadute sul delicato rapporto di fiducia che dovrebbe sempre essere presente tra i due organi. Come dimostra la recente esperienza, queste lacune non possono essere colmate neanche dall’impegno formale del Governo di presentare al Parlamento l’apposito disegno di legge di approvazione, che le confessioni avevano avuto cura di fare risultare in tutti i protocolli firmati nel 2007, impegno che nel caso in questione è venuto meno in conseguenza della fine della legislatura e che non vincola il Governo successivo, che al riguardo è assolutamente libero di comportarsi come crede85. Essendo l’intesa un atto di natura discrezionale e dal significato eminentemente politico86, è giusto che l’obbligo del completamento dell’iter necessario alla sua approvazione ricada soltanto sul Governo che ha deciso di sottoscriverla87, ma sembra altrettanto giusto, per un’esigenza di certezza del diritto e per non tenere all’infinito in sospeso tutti coloro che avrebbero interesse alla sua entrata in vigore, evitando inoltre di alimentare false aspettative, che venga stabilito un termine entro il quale il Governo subentrato dopo la fine della legislatura abbia la possibilità di farla propria, presentando in Parlamento il relativo disegno di legge, scaduto il quale l’intesa decada. A sua volta anche il Parlamento, a cui in definitiva spetterebbe sempre l’ultima parola, pur restando arbitro di “valutare l’opportunità politica e la legittimità giuridica
85 È di diverso avviso il Cardia il quale ritiene che vi sia un vero e proprio obbligo costituzionale del Governo alla presentazione del disegno di legge di approvazione dell’intesa e che tale obbligo nel caso di interruzione della legislatura si trasmetta anche ai governi successivi. Cfr. C. CARDIA, Manuale di Diritto Ecclesiastico, il Mulino, Bologna, 1996, p. 225.
86 Cfr. F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., p. 134.
87 A tal proposito secondo Finocchiaro l’eventuale mancanza di iniziativa da parte del Governo che ha stipulato l’intesa nel presentarla in Parlamento, non comporta la violazione di alcuna norma costituzionale ma semmai la responsabilità politica dell’esecutivo di fronte al Parlamento. Cfr. ID, Diritto ecclesiastico, cit., p. 140.
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dei contenuti delle eventuali intese”88, dovrebbe entro un certo termine o approvare l’intesa, emanando la relativa legge, o dichiarare di non volerlo fare, assumendosene la responsabilità politica89.
Queste problematiche, alle quali fino ad ora si è interessata solo la dottrina che si è da tempo interrogata riguardo alle possibili soluzioni, avrebbero dovuto essere affrontate nei vari progetti di legge sulla libertà religiosa. Desta meraviglia, pertanto, che anche in quelli dove è prevista una disciplina regolatrice della stipulazione delle intese non se ne faccia alcun accenno, e che tale vistosa lacuna permanga nell’ultimo progetto, il testo unificato dall’on. Zaccaria, attualmente assegnato alla I Commissione Affari costituzionali della Camera, che ha visto la luce quando era ormai evidente il fatto che le intese siglate nel 2007 rischiavano di fare la stessa fine di quelle del 2000, dimostrando con ciò un cattivo funzionamento dello strumento regolato dall’art. 8 Cost. e la necessità di apportare dei cambiamenti alla procedura seguita fino a quel momento90.
6 - Conclusioni
L’indagine appena fatta mette in evidenza le discrasie presenti nell’attuale sistema pattizio che riguarda solo alcune confessioni, alle quali ha di fatto conferito una serie di privilegi, escludendo le altre, rimaste soggette ad una legge generale vetusta ed in alcuni punti anche iniqua, la cui perdurante vigenza rende sempre più ampio il divario tra confessioni con e senza intesa91.
88 Così M. RICCA, Legge e intese con le confessioni religiose. Sul dualismo tipicità/atipicità nella dinamica delle fonti, Giappichelli,Torino, 1996, p. 13.
89 Ipotizza la possibilità di prevedere in un testo legislativo, che potrebbe essere la legge generale sulla libertà religiosa, l’obbligo del Parlamento di pronunciarsi entro un termine ragionevole e magari anche quello di motivare la mancata approvazione dell’intesa, B. RANDAZZO, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, Giuffrè, Milano, 2008, p. 94.
90 La proposta di testo unificato all’esame della Commissione Affari costituzionali al riguardo prevede soltanto che il disegno di legge di approvazione dell’intesa sia presentato prontamente dal Governo al Parlamento, ma in sostanza il termine per la presentazione rimane del tutto indefinito. Cfr. Nuova proposta di testo unificato del relatore adottata dalla Commissione come testo base, pubblicata in Dir. eccl., 2007/1-2, p. 59.
91 Questo divario negli ultimi tempi si è ancora più accentuato in quanto numerose leggi dello Stato (v. ad esempio la legge sulle ONLUS, d.l. 4 dicembre 1997, n. 460 e sulla funzione sociale degli oratori, l. 1 agosto 2003, n. 206) hanno previsto l’accesso a determinati benefici ed interventi pubblici di favore, limitandolo alla Chiesa cattolica e alle confessioni dotate di intesa ex art. 8 Cost., nonostante la Corte costituzionale, già con la sentenza n. 195/1993, riguardante il tema dei finanziamenti regionali per
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La via della contrattazione bilaterale pensata dai Costituenti come il mezzo più efficace per assicurare alle confessioni religiose l’eguale libertà proclamata al I comma dell’art. 8, per parecchi decenni è stata bloccata dall’atteggiamento ostile dei vari governi che di fatto hanno opposto strenua resistenza di fronte alle richieste delle confessioni religiose di iniziare le trattative per la stipulazione delle intese.
La tardiva attuazione dello strumento pattizio lo ha reso inadeguato di fronte ai cambiamenti avvenuti nel frattempo nella composizione della popolazione dal punto di vista religioso, del tutto impensabili quando la norma era stata concepita ed aveva come possibili destinatari pochi culti (valdesi, evangelici, ebrei, greco-ortodossi, legati dalla comune matrice giudaico-cristiana), lasciando intravedere l’effettiva possibilità di concludere un’intesa per tutte le confessioni interessate.
L’aumento dilagante del fenomeno migratorio ha avuto delle evidenti ripercussioni sulla situazione religiosa del Paese, che ha dovuto fare i conti con l’ingresso di numerosi culti provenienti da altri continenti (Asia, Africa, America), alcuni del tutto estranei alle nostre tradizioni ed al nostro tessuto sociale, tanto che proprio per questo inizialmente hanno anche incontrato delle difficoltà ad essere riconosciuti come religioni, (v. ad esempio buddismo e induismo).
Ancora più complesso è l’approccio con l’Islam la cui sempre maggiore diffusione assieme alla consapevolezza dei pericoli che questa può comportare (fondamentalismo che può facilmente sfociare in atti terroristici, violazione di diritti inderogabili quali il rispetto della persona umana e l’eguaglianza tra uomo e donna) richiedono uno studio adeguato del fenomeno92, e pongono delle problematiche che
l’edilizia di culto, avesse affermato il principio che la mancata stipulazione di un’intesa non può costituire motivo di discriminazione tra le confessioni, principio poi ribadito in una sentenza più recente riguardante la stessa materia, la n. 346/2000. Sul punto cfr. V. TOZZI, Quale regime per i rapporti Stato-chiese in Italia?, in Dir. eccl., 2005, n. 2-3, p. 558; ID, Edilizia di culto (libertà delle confessioni) in Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale, a cura di R. Botta, ESI, Napoli, 2006, pp. 335 ss.
92 Un passo avanti in questa direzione è stato fatto dal Ministero dell’interno che con d. m. 13 ottobre 2006 ha affidato ad un Comitato scientifico l’incarico di elaborare una Carta dei valori della cittadinanza e della integrazione che successivamente è stata acquisita con d. m. 23 aprile 2007 e alla cui stesura hanno dato un proficuo contributo anche i componenti della Consulta per l’Islam. Il Consiglio scientifico istituito nel 2007 per diffondere la Carta dei valori, (composto dagli stessi membri del Comitato e presieduto dal prof. Carlo Cardia) ha prodotto anche una relazione sull’Islam in Italia che ha studiato in maniera approfondita le caratteristiche dell’insediamento islamico in Italia, ed è nata dal confronto con diverse organizzazioni che hanno approvato il contenuto della Carta dei valori e abbozzato un
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non si prestano, almeno nell’immediato, ad essere risolte dalla stipulazione di un’intesa, che potrebbe, invece, essere foriera di ulteriori problemi93.
Le intese stipulate nel 2007 denotano rispetto alle sei precedenti una maggiore ripetitività ed uniformità dei contenuti. La corsa all’intesa, vista come unico mezzo per liberarsi dalle disposizioni restrittive del 1929-30 ma anche per godere di non indifferenti privilegi, tra i quali spiccano i vantaggi fiscali, porta le confessioni ad appiattirsi ulteriormente e ad eliminare i loro aspetti più specifici nel timore che questi possano comportare un irrigidimento delle trattative o addirittura precludere la possibilità di raggiungere l’intesa94. Si assiste così alla degenerazione dell’istituto che ha perso la sua funzione originaria di strumento atto a fare risaltare le peculiarità delle varie confessioni diventando invece strumento di omologazione.
Questo processo è stato accelerato dalla mancanza di una legge comune sulla libertà religiosa, la cui emanazione logicamente avrebbe dovuto precedere l’inizio della contrattazione bilaterale95, che in questo modo sarebbe servita unicamente a fare emergere quelle diversità e specificità delle singole confessioni, non contemplate dalla legge generale, che potevano essere riconosciute dall’ordinamento in quanto non configgenti con l’insieme dei valori da questo garantiti.
L’inerzia del legislatore ha prodotto un sistema diversificato di disuguaglianze a tre diversi livelli: Chiesa cattolica, confessioni dotate
progetto di Federazione dell’Islam italiano, aprendo delle interessanti prospettive per i futuri rapporti con l’Islam. Il lavoro del Consiglio scientifico, Relazione sull’Islam in Italia, è stato pubblicato nel 2008 a cura del Ministero dell’interno.
93 In passato per la verità è stata tentata anche questa strada e tre bozze di intesa sono state preparate con tre diverse associazioni : L’Unione delle Comunità islamiche in Italia (UCOII), la Comunità religiosa islamica (COREIS) e l’Associazione musulmani in Italia (AMI), intese le cui trattative poi si sono arenate anche per la mancanza di un organo che avesse la rappresentanza unitaria della confessione. I documenti sono pubblicati in Quad. dir. pol. eccl., 1996/1.
94 Secondo la Folliero: “Più che uno strumento per rimarcarne le identità, l’accesso all’Intesa è una prova di affidabilità da superarsi da parte delle Chiese. Oltre la quale si accede ai ticket della sub-negoziazione con lo Stato su singole materie, per misure di favore fiscale o l’accesso a risorse economico–finanziarie di natura pubblica (8 x mille; 5 x mille; disciplina ONLUS). Cfr. M.C. FOLLIERO, Libertà religiosa e società multiculturali: la risposta italiana, in Diritto e Religioni, 2009/1, p. 429.
95 Sul punto si vedano le osservazioni di Bordonali che dice che: “ Anche la dottrina si è lasciata trascinare in questa china e ha mancato di mettere in luce la precedenza logica della legge comune come guida e come argine contro un uso improprio delle intese. Un errore di fondo, a mio giudizio al quale ora non è facile rimediare”. Cfr. S. BORDONALI, L’incidenza del fatto religioso nei percorsi formativi della legge nell’Ordinamento italiano, di prossima pubblicazione in Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado, 2010.
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di intesa, e altre ancora disciplinate dalla vecchia legge sui culti ammessi, ed è difficile ipotizzare come trovare un rimedio dal momento che la legge generale non potrebbe cancellare gli atti bilaterali vigenti, garantiti dagli articoli 7 e 8 della Costituzione. Ma in ogni caso di una legge organica sulla libertà religiosa non si può più fare a meno perché è impensabile che lo Stato possa stipulare tante intese quanti sono oggi i gruppi religiosi presenti nel territorio e bisogna dare una risposta unitaria in termini di garanzie a tutte le confessioni ed ai loro aderenti, eliminando le norme residue della legislazione del 1929-30 e stabilendo nuovi parametri che nella disciplina dei diversi aspetti riguardanti la loro condizione e la loro attività assicurino alle confessioni il concreto esercizio degli stessi diritti96.
Nel complesso sistema di rapporti Stato-chiese che abbiamo appena delineato le intese del 2007 contribuiscono a creare una nuova sotto categoria: quella delle confessioni con intese non ancora approvate, che è stata anche presa in considerazione in alcune leggi nazionali e regionali per estendere a questi soggetti delle discipline di favore, differenziando la loro posizione da quella delle confessioni che non hanno avuto accesso allo strumento pattizio. Viene a crearsi così in modo del tutto arbitrario un nuovo gradino nella scala dei gruppi privilegiati che viene a creare ulteriore scompiglio alterando il sistema delle fonti97.
Si impone dunque una riflessione sulla procedura sin qui seguita per dare attuazione alle intese che, come non abbiamo mancato di sottolineare, presenta delle zone d’ombra che andrebbero colmate, iniziando con lo stabilire dei limiti temporali decorrenti dalla loro stipulazione superati i quali, l’inerzia del Governo (nel presentarle) o del Parlamento (nell’approvarle), ne determinino la decadenza. Si eviterebbe così di suscitare ulteriore confusione ed incertezza o di alimentare false aspettative tra i gruppi religiosi che si ritrovano in quella particolare condizione, dando un esempio di chiarezza e un primo segnale di cambiamento, in un momento in cui in tema di politica ecclesiastica sembra proprio il caos ad imperare.
96 In merito alla necessità di una legge organica sulla libertà religiosa ed ai possibili contenuti della legge si vedano le opinioni espresse da C. CARDIA, Concordato, intese, laicità dello Stato. Bilancio di una riforma, in Quad. dir. pol. eccl., 2004/1, p. 29-30; G. CASUSCELLI, Appunti sulle recenti proposte di legge, cit., pp. 67 ss.; ID., Libertà religiosa collettiva, e nuove intese con le minoranze confessionali, in Stato, Chiese, pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), marzo 2008; V. TOZZI, Religiosità umana, fenomeno religioso collettivo e Costituzione italiana, in ibidem, pp. 19-23; S. BORDONALI, L’incidenza del fatto religioso, cit.
97 Critica decisamente questo modo di operare G. CASUSCELLI, Libertà religiosa collettiva, cit.

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