venerdì 21 ottobre 2011

procedimento amministrativo


Il procedimento amministrativo è l’insieme di una pluralità di atti susseguenti e diversi fra loro che, nonostante la loro eterogeneità e la loro relativa autonomia, sono preordinati allo stesso fine e, cioè, alla produzione di effetti giuridici propri di un determinata fattispecie.
L’attività amministrativa, pertanto, è solitamente procedimentalizzata, svolgendosi nel rispetto delle regole strutturali e funzionali, formali e sostanziali, dirette a garantire il corretto uso del potere amministrativo. Il procedimento, infatti, consente l’emersione di tutti gli interessi, pubblici e privati, investiti dalla decisione e la PA, attraverso il coordinamento dei diversi soggetti, è posta nelle condizioni di individuare la soluzione migliore. Per tale motivo, si ritiene che il procedimento sia l’ideale luogo di ponderazione degli interessi e di connessione strutturale tra soggetti, pubblici e privati, coinvolti.
La legge 241/90, novellata prima dalle leggi n. 15/2005 e 80/2005, poi dalla legge 69/2009 e, infine, dal codice del processo amministrativo nel 2010 per la parte inerente l’accesso agli atti e il relativo ricorso, sancisce regole generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali.
L’utilizzo del procedimento amministrativo come esplicazione del potere amministrativo ha assunto nel tempo una rilevanza inizialmente non ipotizzata.
Tale normativa ha fatto propri i principi affermati sino ad allora dalla giurisprudenza o presenti in singole leggi di settore.
La lettura combinata della normativa base e delle successive riforme e novelle manifesta l’intento del Legislatore di incentivare la collaborazione fra Pubblica Amministrazione e i destinatari della sua azione amministrativa.
Sottesi al procedimento amministrativo vi sono due principi cardine: il principio del giusto procedimento e quello di semplificazione.
Uno dei capisaldi della legge sul procedimento amministrativo è quello per cui è obbligo della Pubblica Amministrazione concludere il procedimento con un provvedimento espresso, sia nel caso in cui lo stesso consegua ad una istanza del privato che nelle ipotesi in cui debba essere iniziato di ufficio.
Il problema dell’individuazione del termine di conclusione del procedimento è tra quelli più spinosi, che da sempre ha interessato il legislatore.
In linea generale la normativa prevede un termine di 30 giorni che può essere portato a 90 giorni per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali e, sempre in relazione a tali soggetti, può arrivar a 180 giorni previa adozione di un regolamento ad hoc.
I termini possono essere sospesi per una sola volta e per non più di trenta giorni per motivi istruttori.
La mancata emanazione del provvedimento nei termini può costituire elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale ed esser ragione per la mancata corresponsione della retribuzione di risultato, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 legge 241/90 sull’obbligo della adozione del provvedimento espresso e l’art.7, comma 2, legge 69/2009, che ribadisce la centralità del rispetto della tempistica relativa alla conclusione del procedimento amministrativo.
Dal punto di vista processuale il ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione( ossia la mancata adozione del provvedimento amministrativo) può essere azionato anche senza previa diffida alla P.A. inottemperante.
La novella del 2009 ha previsto anche una responsabilità di natura civile ( possibilità di chiedere i danni alla P.A.) in capo alla struttura pubblica che risultasse inottemperante.
· Partecipazione al procedimento.
La legge 241/90 affronta la problematica del procedimento, ossia la partecipazione degli interessati allo stesso.
Al riguardo il legislatore ha recepito i dettami della dottrina sul giusto procedimento, prevedendo: l’obbligo della P.A. di comunicare agli interessati la notizia dell’avvio del procedimento; il diritto di questi ultimi a parteciparvi attivamente; la possibilità che l’amministrazione procedente concluda accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento ovvero in sostituzione di questo.
Il principio di partecipazione risponde alle esigenze di trasparenza( i destinatari dell’azione amministrativa ne hanno conoscenza e possono orientarla), economicità ( in quanto si deflazione il contenzioso , evitando i relativi sforzi e perdite di tempo)e di efficacia( perché ne deriva una più spiccata capacità di conseguire gli obiettivi pubblici, meglio chiariti grazie ai contributi del privato).
L’art. 9 prevede che qualunque soggetto portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi, cui possa derivare un pregiudizio dall’emanando provvedimento, possono intervenire nel procedimento.
L’art. 10 legge 241/90 stabilisce che i destinatari della comunicazione e i soggetti intervenuti hanno diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare.
Il responsabile del procedimento, prima della formale adozione del provvedimento finale negativo ha l’obbligo di comunicare tempestivamente agli interessati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda . Gli interessati hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, unitamente eventualmente a documentazione.
· Semplificazione della azione amministrativa
Il Capo IV della legge 241/90 contiene una serie di disposizioni di notevole rilievo, dirette a snellire l’azione amministrativa e, di conseguenza, ad uniformare la stessa ai principi sanciti nell’art. 1 della legge in questione (criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza).
Una poderosa spinta semplificatrice promana dalla legge 59/1997( legge Bassanini) in punto di delegificazione e contrazione di tempi e fasi del procedimento e, dalla legge Bassanini bis l. 127/1997, in tema di potenziamento di istituiti quali la conferenza di servizi, l’autocertificazione, gli accordi tra PP.AA..
Modifiche alla disciplina della conferenza di servizi sono state introdotte anche dalla l. 191/1998( legge Bassanini ter), dalla legge 340/2000( legge di semplificazione amministrativa) e, dalla l. 15/2005, Su alcuni degli istituti di semplificazione ha inciso, da ultimo, la legge 69/2009, sempre nella prospettiva di dare attuazione ai citati criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza).
Al fine di snellire e semplificare l’azione amministrativa, la legge 241/90 prevede:
1) la conferenza di servizi che costituisce una forma di cooperazione tra le Pubbliche Amministrazioni che ha lo scopo di realizzare, attraverso l’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti, la semplificazione di taluni procedimenti amministrativi particolarmente complessi. L’istituto in esame è suddividibile in tre tipologie: quella istruttoria, quella decisoria e quella preliminare.
- La conferenza di servizi istruttoria compie un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi connessi fra di loro. L’indizione della conferenza spetta alla Amministrazione che dovrà emanare il provvedimento finale e che, quindi, è titolare dell’interesse pubblico prevalente. L'art. 49 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122,  ha chiarito la natura discrezionale della decisione della Pubblica Amministrazione di dare luogo alla conferenza di servizi istruttoria;
- La conferenza di servizi decisoria, invece, assume decisioni concordate tra le varie amministrazioni coinvolte, in sostituzione dei previsti atti di concerto, nulla osta, intese o atti di assenso comunque denominati. L’amministrazione procedente è tenuta ad indire la conferenza di servizi decisoria decorsi trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta da parte della Amministrazione competente. La conferenza diventa facoltativa, invece, quando nello stesso termine sia intervenuto il dissenso si una delle amministrazioni interessate. L'art. 49 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122,  ha chiarito la natura obbligatoria della decisione della Pubblica Amministrazione di dare luogo alla conferenza di servizi decisoria, salvo espresse previsioni normative consentano alla amministrazione procedente di prescindere dalla assenza di determinazioni delle amministrazioni chiamate a pronunziarsi entro il termine perentorio di trenta giorni dalla richiesta della amministrazione competente, la quale, pertanto, in queste ipotesi, non è obbligata a procedere alla conferenza di servizi decisoria, potendo provvedere direttamente alla adozione del provvedimento in sostituzione della Amministrazione rimasta inottemperante.
   L'introduzione di questa vera e propria ipotesi di sostituzione (ad esempio: in tema di sportello unico per l'attività produttive) non può essere applicata  - alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 179 dell'11 luglio 2012 - ai casi di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da parte di una regione, in una delle materie di prorpia competenza, ove non sia stata raggiunta, entro il termine di trenta giorni, l'intesa: il Consiglio dei Ministri - in tale evenienza -  non può in alcun modo con delibera esercitare il proprio potere sostitutivo.

Quando l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominato, di competenza di più amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell’interessato, dall’amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale.
- La conferenza di servizi preliminare ossia quella forma di conferenza che può essere convocata se ha ad oggetto progetti di particolare complessità o insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell’interessato, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivo, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso.
2) gli accordi fra amministrazioni pubbliche finalizzati a disciplinare lo svolgimento di attività di pubblico interesse in collaborazione.
3) La generalizzazione del silenzio facoltativo che comporta la facoltà per l’amministrazione di procedere prescindendo da un parere che non sia stato espresso nei termini previsti e non rientri nelle materie afferenti la salute individuale e la salubrità ambientale, oltre interessi di natura storica e archeologica.
4) La generalizzazione della figura del silenzio devolutivo che comporta la possibilità di richiedere ad altri organi valutazioni tecniche di necessaria acquisizione ai fini dell’adozione del provvedimento finale,che quelli precedentemente aditi non abbiano effettuato. In tali casi, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi della amministrazione pubblica o ad altri enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari. Conformemente a quanto già detto riguardo ai pareri, tale principio non si applica in caso le suddette valutazioni afferiscano la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, storico-archeologico e la salute dei cittadini.
5) L’attuazione dell’istituto dell’auto - certificazione, che consente al privato di poter provare, nei suoi rapporti con la P.A., determinati fatti, stati e qualità a prescindere dalla esibizione dei relativi certificati, semplicemente presentando una dichiarazione sostitutiva.
6) Segnalazione Certificata di Inizio Attività(s.c..i.a.). Ai sensi dell’art.19 legge 241/1990 (secondo l’ultima l’ultime modifica dovuta alla legge 122/2010) ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi, è sostituito da una segnalazione al Comune dell’interessato (l’Amministrazione pubblica generalmente competente) corredata, anche per mezzo di autocertificazione, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. Non possono essere sostituiti dalla S.C.I.A. gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia e quella delle finanze, nonché alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, oltre gli altri imposti per normativa comunitaria.
La procedura per la sua concessione, prima della modifica del 2010, si sostanziava nella comunicazione alla P.A. della intenzione del soggetto privato di effettuare i lavori e, decorsi trenta giorni, senza alcun intervento ostativo ad opera della Amministrazione, il privato poteva procedere a dare inizio alla attività oggetto della dichiarazione: contestualmente all’inizio delle attività quest’ultimo aveva l’obbligo di informarne l’Amministrazione.
Una ipotesi particolare che vedeva una d.i.a. immediata alla comunicazione senza attendere i trenta giorni da quest’ultima la riscontravamo nell’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e servizi alle imprese e ai consumatori.
Questa procedura immediata speciale di inizio immediato dei lavori contestualmente alla presentazione della d.i.a. è stata estesa dalla legge 122/2010 alla nuova figura della Segnalazione Certificata di Inizio Lavori (S.C.IA.), che ha sostituito interamente la vecchia d.i.a..
Il novello istituto prevede la sua presentazione al Comune, unitamente alla documentazione richiesta dalla norma di settore, con la possibilità da parte del presentatore di iniziare immediatamente i lavori.
Il Comune ha sessanta giorni di tempo per verificare il rispetto dei presupposti e dei requisiti previsti per legge: in caso di loro assenza ha l’obbligo di provvedere a inibire la prosecuzione dei lavori, ordinando, se del caso, la rimozione di quanto realizzato.
Oltrepassato il limite dei sessanta giorni dalla presentazione della S.C.I.A., la Pubblica Amministrazione può sempre utilizzare i propri poteri caducatori di ufficio, ossia l’annullamento e la revoca.
7) generalizzazione del silenzio-assenso, operata dall’art. 20 legge 241/90, qualificando come provvedimento di accoglimento il silenzio della Amministrazione destinataria della istanza di rilascio di un provvedimento amministrativo ampliativo dei diritti, delle facoltà e della sfera di azione del privato. Anche in questo caso la P.A. mantiene poteri di autotutela e, può porre in non essere il provvedimento favorevole implicitamente formatosi con la scadenza del termine perentorio previsto dalla norma e la mancata adozione di un esplicito provvedimento amministrativo.
· Le fasi del procedimento amministrativo
Il procedimento amministrativo, alla luce delle più recenti innovazioni legislative, si articola in quattro fasi:
a) fase d’iniziativa;
b) fase istruttoria;
c) fase decisoria;
d) fase integrativa dell’efficacia.
Si tenga presente che, talvolta, in un procedimento ne può confluire un latro con funzione strumentale: il c.d. sub procedimento, dotato di una propria autonomia e preordinato alla realizzazione di uno o più elementi del procedimento principale “madre”.
Secondo un recente orientamento giurisprudenziale sono applicabili al procedimento amministrativo le regole privatistiche della tutela dell’affidamento e dell’obbligo di correttezza, trattandosi di doveri generali cui è tenuto ogni soggetto di diritto.
1) la fase d’iniziativa
E’ la fase diretta a predisporre e accertare i presupposti dell’atto da emanare. E’ con essa che viene introdotto l’interesse pubblico primario, nonché gli interessi secondari di cui sono titolari i privati interessati all’oggetto del provvedimento da emanare.
Si possono avere procedimenti:
- ad iniziativa privata , i cui tipici atti sono:
istanze: sono domande dei privati interessati, tendenti ad ottenere un provvedimento a loro favore; quando l’istanza non genera obblighi per la P.A. la denominazione è di esposto;
denuncie: sono dichiarazioni che vengono presentate dai privati ad una autorità amministrativa al fine di provocare l’esercizio dei suoi poteri con l’emanazione di un provvedimento. La denuncia può essere facoltativa o obbligatoria, come quella dei redditi.
ricorsi: sono i reclami dell’interessato intesi a provocare un riesame di legittimità o di merito degli atti della P.A. ritenuti lesivi di diritti o interessi legittimi;
- ad iniziativa di ufficio. E’ autonoma quando l’attività propulsiva promana dallo stesso organo competente per l’emissione del provvedimento centrale e conclusivo. L’atto di iniziativa in questa ipotesi è incorporata nel primo atto del procedimento; può tuttavia essere un atto a sé, come avviene nel caso della contestazione degli addebiti, che è il primo atto del procedimento disciplinare; è eteronoma quando l’atto propulsivo promana da un organo diverso da quello competente ad emettere il provvedimento finale.
Si attua attraverso:
a) le richieste: sono atti amministrativi consistenti in manifestazioni di volontà con cui l’autorità amministrativa competente si rivolge ad altre autorità amministrativa per sollecitare l’emanazione di un atto che altrimenti non potrebbe essere adottato. Le richieste differiscono dalle segnalazioni e dai voti, che non creano per l’autorità amministrativa alcun obbligo di provvedere. Possono essere facoltative o obbligatorie, vincolanti o non vincolanti.
b) Le proposte sono manifestazioni di giudizio dell’organo propulsivo circa il contenuto da dare all’atto. Possono essere facoltative o obbligatorie a seconda che l’autorità competente possa o meno provvedere anche in mancanza della proposta; possono inoltre essere vincolanti, non vincolanti o conformi, quando l’autorità procedente, se vuole provvedere, non può che farlo in conformità della proposta.
Iniziato il procedimento, sussistono tre passaggi obbligatori: la previsione di un termine procedimentale, la individuazione dl responsabile del procedimento e la comunicazione dell’avvio del procedimento stesso ai soggetti interessati e contro interessati.
c) fase istruttoria
E’ la fase nella quale si acquisiscono e si valutano i singoli dati pertinenti e rilevanti ai fini dell’emanazione dell’atto. E’ normalmente di competenza della stessa autorità cui spetta l’adozione del provvedimento finale, ma il privato può collaborare indicando i mezzi di prova o rispondendo a quesiti e questioni o integrando con documentazione.
L’istruttoria è informata ai seguenti principi:
- principio inquisitorio: la P.A. dispone del più ampio potere di iniziativa per il compimento degli atti istruttori;
- principio della libera valutazione delle prove da parte della P.A.;
- principio di non aggravamento del procedimento, se non per motivate e straordinarie esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria;
- Le attività della fase istruttoria si articolano nella seguente maniera:
1) acquisizione dei fatti ossia le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e le circostanze di fatto;
2) acquisizione degli interessi, ossia raccolta degli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento, con conseguente partecipazione dei portatori alla luce del principio del giusto procedimento;
3) elaborazione di fatti ed interessi nella quale rientrano le richieste di pareri. In particolare l’acquisizione dei fatti avviene diversamente a seconda della diversa natura degli stessi: quelli c.d. semplici sono oggetto di diretta acquisizione da parte dell’organo decidente, mentre quelli di natura complessa sono accertati mediante valutazione di soggetti dotati di particolari conoscenze tecniche e specialistiche.
4) tramite la conferenza di servizi di tipo istruttorio di cui abbiano parlato in precedenza si acquisiscono, si comparano e si valutano nella contestualità spazio temporale gli interessi di cui sono portatrici tutte le amministrazioni coinvolte – dallo stesso procedimento ovvero da un procedimento amministrativo connesso - dagli effetti dell’emanando provvedimento.
· Fase decisoria
E’ la fase deliberativa del procedimento, in cui si determina il contenuto dell’atto da adottare e si provvede alla formazione ed emanazione dello stesso.
Allorquando si tratti di atto discrezionale, la PA provvede ad effettuare la comparazione tra gli interessi acquisiti e coinvolti nell’azione amministrativa, mentre in presenza di un atto vincolato essa dovrà limitarsi a verificare unicamente la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento.
La fase decisoria può esprimersi attraverso manifestazioni di volontà che si traducono in un atto semplice (decisione monostrutturate) oppure attraverso manifestazioni di volontà tra loro collegate (decisioni pluristrutturate). In quest’ultimo caso la decisione è di competenza di più autorità che partecipano al procedimento nella fase decisoria: sono le ipotesi in cui la decisione deve essere preceduta da un concerto o da un intesa, o comunque da un atto di assenso per cui ogni amministrazione che interviene nella fase stessa condiziona in modo assoluto il contenuto del provvedimento finale.
A tale fase appartengono gli atti che, direttamente o indirettamente, determinano il contenuto dell’atto finale.
Vi sono alcune ipotesi in cui il contenuto del provvedimento è stabilito attraverso percorsi particolari e, talora, mediante strumenti di natura privatistica.
Come detto in precedenza, la conferenza di servizi può avere una valenza non solo istruttoria ma anche decisoria.
La conferenza di servizi decisoria si concreta ogniqualvolta essa sia indetta dalla amministrazione procedente al fine di assumere intese, concerti, nulla osta o assensi, comunque denominati, di altre amministrazioni pubbliche le quali daranno luogo a veri e propri accordi sul contenuto del provvedimento, che congloberà e sostituirà in tutto e per tutto i concerti, le intese, i nulla osta e quanto altro espresso dalle singole amministrazioni i sede di conferenza di servizi.
Altresì l’art. 11 della legge 241/1990 prevede che dalla partecipazione dei privati al procedimento possano scaturire accordi con la P.A. al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di esso.
Gli accordi che si vanno a configurare sono pertanto di due tipi.
I primi sono rivolti a determinare il contenuto del provvedimento che sarà emanato dalla Amministrazione competente (accordi integrativi), mentre i secondi (accordi sostitutivi) si sostituiscono completamente al provvedimento amministrativo, passando da una decisione amministrativa avente una veste pubblica e autoritativa ad una decisione adottata con vestigia privatistiche e negoziali.
Gli accordi integrativi si inseriscono nell’ambito di un procedimento amministrativo già avviato, con funzione determinativa del contenuto dell’atto finale, ma non costitutiva dei suoi effetti, che debbono essere imputati esclusivamente al provvedimento adottato in base ad essi; gli accordi sostitutivi si inseriscono nell’ambito di un procedimento già avviato in funzione surrogatoria del provvedimento del quale producono gli effetti.
· La fase integrativa dell’efficacia
E’ un momento solo eventuale, ricorrente nelle sole ipotesi in cui sia la stessa legge a non ritenere sufficiente la perfezione dell’atto, richiedendo il compimento di ulteriori e successivi atti od operazioni.
La ragione di tale previsione risiede tanto nella necessità di valutare la legittimità o la congruità del provvedimento adottato, quanto nella stessa natura di questo, che può richiedere di esser portato a conoscenza dei destinatari pe poter esplicare appieno i propri effetti giuridici.
Per questo, in base alle funzioni accennate l’Autorità amministrativa dovrà provvedere a compiere atti di controllo oppure di comunicazione, pubblicazione o notificazione.
Se l’atto è recettizio, ossia deve essere portato a conoscenza del destinatario, solo a seguito della comunicazione o della notificazione il provvedimento potrà essere qualificato efficace.
Il provvedimento per volontà di legge o in ragione della pluralità indistinta dei suoi destinatari diventa efficace solo a seguito di sua pubblicazione.
I controlli, a termine dei quali l’atto produrrà effetti, hanno una disciplina maggiormente articolata e complessa.
· I controlli
Il termine “controllo” nell’ambito delle discipline giuspubblicistiche significa verifica della conformità dell’atto o della attività a parametri prefissati di valutazione ( di legalità/ procedurali/ formali o di merito), al fine eventuale di adottare misure inerenti l’atto stesso da parte dell’organo controllante o della stessa autorità che ha emesso l’atto.
Pertanto è una verifica del rispetto degli atti posti in essere al termine del procedimento amministrativo a determinate disposizioni di legge (controllo di legittimità), ovvero a criteri di opportunità e convenienza ( controllo di merito).
Inoltre i controlli possono esser effettuati sugli atti stessi, se diretti a valutare la loro legittimità o, se disposto dalla normativa, sulla loro opportunità; ovvero su soggetti o organi ( controllo funzionale), se diretti a riesaminare e valutare l’operato, il comportamento, la funzionalità di un organo o di un soggetto preposto all’organo; infine sulla attività scaturente dal provvedimento, per controllarne la compatibilità con la programmazione in quel settore o con la sicurezza e la incolumità pubblica.
Inoltre il controllo può essere preventivo, se interviene su in atto già formato, ossia perfetto, ma nella fase antecedente alla sua produzione di effetti; successivo, se interviene dopo la produzione degli effetti; sostitutivo, qualora l’autorità gerarchicamente superiore, se dotata di tale potere, accertata l’inerzia dell’organo gerarchicamente subordinato, si sostituisce ad esso nella emanazione del relativo provvedimento.
· Esecutorietà
Il provvedimento amministrativo, in quanto dotato del carattere della autoritatività, produce unilateralmente modifiche favorevoli o sfavorevoli nella sfera giuridico-patrimoniale del destinatario.
L’efficacia è la meta produzione di effetti dell’atto perfetto posto in essere al termine del relativo procedimento e passato positivamente al vaglio dei controlli (se previsti), ovvero pubblicato (se la pubblicazione è prevista ), ovvero comunicato o notificato se l’atto abbia natura recettizia.
L’esecutorietà ha natura completamente diversa, sussistendo ogniqualvolta necessiti la collaborazione del destinatario del provvedimento, collaborazione che viene a mancare e necessita l’intervento autoritativo dell’Autorità amministrativa competente che ottempera di imperio. Un esempio fra tutti: ordine di demolizione della villa abusiva, inottemperanza da parte del proprietario e intervento del Comune che provvede al suo abbattimento con propri mezzi.
· La partecipazione al procedimento amministrativo
Il principio di partecipazione nell’ambito dello svolgimento dell’attività amministrativa e, segnatamente, nel procedimento amministrativo, costituisce uno dei capisaldi del nostro ordinamento giuridico ed uno dei criteri principale dell’attuale sistema amministrativo.
La legge sul procedimento rappresenta un momento miliare dell’attuazione del principio di trasparenza e partecipazione, consentendo la possibilità per i privati di contribuire alla attività amministrativa.
Al riguardo il Legislatore ha recepito i dettami della dottrina sul giusto procedimento, prevedendo:
- l’obbligo della P.A. di comunicare agli interessati la notizia relativa all’avvio del procedimento;
- il diritto di questi ultimi a parteciparvi attivamente;
- la possibilità che l’amministrazione procedente concluda accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento ovvero in sostituzione di esso, come si è accennato in precedenza;
- ruolo chiave è anche quello svolto dal responsabile del procedimento, che ha il compito di gestire la fase istruttoria e, allo stesso tempo, di garantire il momento dialettico tra la P.A. e i cittadini, essendo il soggetto deputato a interagire con il privato, in rappresentanza della P.A., al fine di addivenire ad un provvedimento quanto più possibile condiviso, in modo da evitare la fase patologica della impugnazione.
La partecipazione amministrativa può, invero, essere intesa alla stregua di una varietà di accezioni: quale partecipazione, realizzata dai funzionari amministrativi, svolgentesi nell’ambito della stessa organizzazione amministrativa; in secondo luogo, come partecipazione procedimentale, ossia quella che non solo coinvolge i privati, sia i singoli che gli associati, nella elaborazione, predisposizione, emanazione del provvedimento amministrativo all’esito di un procedimento , ma anche che li pone su di un piano di parità e di collaborazione con la P.A. procedente.
Gli obiettivi della partecipazione vanno ravvisati, da un lato, nella migliore cura dell’interesse pubblico perseguito dalla P.A., cura che si arricchisce grazie al coinvolgimento dei privati; dall’altro lato, nella tutela del privato medesimo, nonché delle situazioni giuridiche soggettive di cui è titolare, rispetto all’esercizio dell’attività amministrativa. La partecipazione, pertanto, presenta sia profili di collaborazione che aspetti di garanzia nei confronti del cittadino che si trova ad interloquire con la P.A..
· Il responsabile del procedimento
La legge 241/1990 ha introdotto la figura del responsabile del procedimento, il cui nominativo deve essere indicato nell’avviso di inizio del procedimento agli interessati e ai controinteressati, specificandone i compiti.
La ratio dell’introduzione di tale figura del responsabile del procedimento può, allora, rinvenirsi nell’esigenza di attuazione dei principi di trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa, unitamente alla piena responsabilizzazione degli amministratori preposti alla gestione del procedimento.
Il responsabile del procedimento si presenta come interlocutore tra amministrazione e cittadini, quale soggetto deputato alla definizione e decisione delle istanze avanzate dai privati.
L’art. 4 legge 241/1990 sancisce l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di individuare, per ogni procedimento l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni atto procedimentale , nonché dell’adozione del provvedimento finale.
Successivamente a ciò, il dirigente di ciascuna unità organizzativa assegna a sé o ad un altro addetto all’unità, la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento, nonché la emanazione del provvedimento finale.
L’art. 6 della citata normativa prevede una serie di compiti attribuiti ai responsabili del procedimento, prevalentemente finalizzati alla cura della fase istruttoria del procedimento, nonché alla effettiva adozione del provvedimento finale.
Qualora l’organo che adotterà il provvedimento finale sia diverso da quello che ha compiuto l’istruttoria non potrà discostarsi dalle risultanze istruttorie, salvo motivarlo adeguatamente nella parte motiva del provvedimento finale.
Uno degli obiettivi principali che il Legislatore ha inteso conseguire attraverso l’emanazione della legge sul procedimento amministrativo è stato quello della progressiva responsabilizzazione dei funzionari della pubblica amministrazione.
La responsabilità può essere di tre tipi: penale, civile e amministrativo-contabile.
Non affrontando in questa sede la responsabilità penale, i paradigmi di quella civile sono contenuti nell’art. 28 della Costituzione: “ i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi civili, penali e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti”. L’azione di risarcimento nei confronti del funzionario può essere esercitata congiuntamente a quella diretta nei confronti dello Stato, qualora sussista anche la responsabilità dello Stato, se l’atto realizzato o il comportamento posto in essere siano funzionalmente legati alla attività lavorativa e/o istituzionali. Il danneggiato avrà la facoltà di agire sia nei confronti solamente della amministrazione – che risulta essere la via privilegiata in questi casi - sia nei confronti solamente del dipendente danneggiante, sia congiuntamente ai danni di entrambi.
La responsabilità sussiste nei casi di dolo o colpa grave: nel primo caso l’atto o il comportamento si proponevano di attingere i risultati dannosi della sfera di terzi poi realizzati; nella seconda ipotesi l’atto o il comportamento violano in maniera grossolana le regole basilari della diligenza, della perizia e della prudenza, nonché le fondamenta di disposizioni di legge e regolamentari, di direttive e di circolari.
Il funzionario incorre nella responsabilità amministrativo-contabile quando cagiona danni materiali e patrimoniali ovvero finanziari, pecuniari, economici e contabili alla Amministrazione nella sua interezza, ossia sia a quella a cui appartiene sia ad altre articolazioni della Pubblica Amministrazione.
· Comunicazione di avvio del procedimento
La comunicazione di avvio del procedimento costituisce lo strumento fondamentale attraverso cui si attiva e si estrinseca la partecipazione dei privati nel procedimento: la comunicazione de qua deve essere effettuata a ridosso dell’inizio del procedimento.
La comunicazione è disciplinata negli artt. 7 e 8 della legge 241/1990; in particolare: l’art. 7 pone un obbligo generalizzato di comunicazione ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge devono intervenirvi, nel caso in cui non vi siano ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità del provvedimento.
Del pari, è previsto che laddove non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuato o facilmente individuabili, diversi dai suoi destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento.
La ratio della comunicazione di avvio del procedimento è da rinvenire, essenzialmente, proprio nella circostanza per cui essa consente al cittadino di avere un ruolo attivo nel corso del procedimento, potendo interloquire con l’amministrazione procedente nonché fornire il proprio apporto, influenzando la determinazione finale.
In secondo luogo, bisogna sottolineare che, come chiarito più volte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, l’adempimento della comunicazione di avvio non va inteso in senso meramente formalistico, quanto piuttosto esso deve mettere tutte le parti in condizioni di potere effettivamente esporre le proprie ragioni, dando luogo ad un vero momento dialettico fra Pubblica Amministrazione procedente e destinatari privati della sua azione.
In deroga all'obbligo di "comunicare l'avvio" del procedimento amministrativo ai sensi dell'art.7 legge 241/1990, il Consiglio di Stato, sezione III, si è recentemente espresso con la decisione 24 maggio-4 giugno 2013, n. 3048.
I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che l'urgenza qualificata, così come prevista dall'art.7 legge 241/1990, consente alla Amministrazione di derogare all'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento solamente se attenga al singolo procedimento,  e trova giustificazione nelle esigenze proprie e peculiari del singolo procedimento, come è reso palese dallo stesso tenore testuale della citata disposizione, la quale contempla l'eccezione dovuta a "ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento".
Più specificamente nel settore delle procedure espropriative, il corretto provvedimento ablatorio postula un contraddittorio al quale la comunicazione di avvio del relativo procedimento è indefettibilmente funzionale, sicché, in mancanza di comunicazione al privato potenzialmente leso dall'atto finale, quest'ultimo si rileva illegittimo e deve essere annullato.
L'art. 21 octies, comma 2, della legge 241/1990, oltre a rispondere a orientamenti già vigenti, è norma di carattere processuale e, pertanto, in quanto tale, applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge 11 febbraio 2005, n. 15. 
E' doveroso precisare che la mancata comunicazione di ufficio di avvio del procedimento ai soggetti interessati, cointeressati e controinteressati,  non può essere applicata di ufficio dal giudice amministrativo,  anche in relazione a fattispecie anteriori, ma solamente ope exceptionis da parte della Amministrazione, alla quale incombe l'onere di dimostrare che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere altrimenti diverso.

La partecipazione dei privati si esplica non soltanto per il tramite dell’avvio della comunicazione del procedimento, ma anche in forza del diritto di intervento nel procedimento, del diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti (di cui di qui a poco tratteremo); della possibilità di stipulare accordi procedimentali e sostitutivi( di cui abbiano parlato già in precedenza); e, infine, del c.d. preavviso di rigetto.

· Il preavviso di rigetto
Il preavviso di rigetto è un istituto introdotto dalla riforma del procedimento amministrativo intervenuta con la legge 15/2005.
Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per riscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti.
La comunicazione in parola interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni.
La ratio di tale istituto si sostanzia nella riduzione del contenzioso tra pubblica amministrazione e cittadini.
· Il diritto di accesso agli atti
La n. 15 /2005 innovando profondamente la legge generale sul procedimento amministrativo , ha dettato una disciplina più organica e completa in materia di accesso ai documenti, disciplinato dal capo V agli artt. 22 e segg.
L’art. 22 così come novellato si preoccupa di definire il diritto di accesso come il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi.
Il fondamento giuridico del diritto di accesso va individuato nel principio di trasparenza dell’attività amministrativa e, più a monte, negli artt. 97 e 98 Cost., ove si enuncia il principio di buon andamento dei pubblici uffici.
La stessa legge n. 15/2005 contiene in proposito un’importante enunciazione di principio, laddove innovando l’art. 22 della legge n. 241/90, prevede che l’accesso ai documenti, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce un principio generale dell’attività amministrativa, finalizzato a favorire la partecipazione dei privati e ad assicurare l’imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa.
· Oggetto del diritto di accesso
L’oggetto del diritto di accesso è costituito dai documenti amministrativi definiti come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti relativi ad un determinato procedimento detenuti dalla P.A., inclusi gli atti di diritto privato emessi dalla P.A, basta che siano posti a tutela del pubblico interesse e siano soggetti al canone di imparzialità.
· I titolari del diritto di accesso
Il nuovo art. 22 come novellato dalla legge n. 15/2005, dopo aver puntualizzato che il diritto di accesso è quello degli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, qualifica l’interesse come diretto, concreto, attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
· I soggetti obbligati a consentire l’accesso
Il nuovo testo dell'art. 23, come novellato dalla legge n. 15/2005, definisce in modo diverso e più onnicom­prensivo l'ambito dei soggetti nei cui confronti è esercitabile il di­ritto di accesso ai documenti. Ora, infatti, tale diritto è esercita­bile nei confronti di:
- tutte le pubbliche amministrazioni (non più solo statali);
- nei confronti delle aziende autonome e speciali;
- degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi.
Il diritto di accesso può essere escluso per l'esigenza di salvaguardare:
- la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;
- la politica monetaria e valutaria;
- l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;
- la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi, imprese ed associazioni con particolare riferimento agli interessi di natura epistolare, sanitaria, finanziaria, industriale e commerciale;
- l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.
La legge attribuisce però alla PA anche uno specifico potere discrezionale: il potere di diffe­rire l'accesso ai documenti richiesti, ossia di negare l’accesso solo per un periodo di tempo determinato.
E’ poi previsto che la P.A. non può negare l’accesso ai documenti nelle ipotesi in cui sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.
· La tutela giurisdizionale
Contro le determinazioni di rigetto da parte della Amministrazione della istanza di accesso, il soggetto interessato può adire il T.A.R., che, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, in camera di consiglio emana il provvedimento ( sentenza o ordinanza).
In caso di accoglimento totale o parziale del ricorso, il giudice amministrativo ordina l'esibizione dei documenti richiesti .
· Il provvedimento amministrativo.
Al termine del procedimento amministrativo l’Autorità competente adotta un esplicito provvedimento amministrativo.
La dottrina e la giurisprudenza hanno definito tale atto come manifestazione di volontà volta alla cura di un concreto interesse pubblico e diretto a produrre unilateralmente effetti giuridici nei rapporti esterni con i destinatari.
La prima caratteristica è l’autoritarietà, ossia la forza giuridica dei provvedimenti che si impongono unilateralmente modificando di imperio la sfera giuridica dei destinatari.
La seconda caratteristica è l’esecutorietà, di cui abbiamo già affrontato, quando la legge prevede che la P.A. procedente agisca coattivamente affinché siano adempiuti gli obblighi contenuti in un provvedimento rimasti inottemperanti dal destinatario.
La terza caratteristica è l’esecutività, ossia nella immediata produzione di effetti da parte del provvedimento adottato, salvo non vi siano apposti dei termini, oneri o condizioni, ovvero disponga altrimenti la legge.
La quarta caratteristica è la tipicità, ossia sono provvedimenti soltanto quelli previsti dall’ordinamento.
La quinta caratteristica è la nominatività: a ciascun interesse pubblico particolare da realizzare è preordinato un tipo di atto perfettamente definito dalla norma nell’an, nel quando, nel quomodo e nel quid.
La motivazione rappresenta lo strumento attraverso il quale la P.A. esterna i presupposti fattuali e le ragioni giuridiche che hanno portato alla emanazione di un dato provvedimento.
L’art. 3 legge 241/90 impone, a pena di illegittimità per violazione di legge, la parte motiva a tutti i provvedimenti amministrativi, ad eccezione degli atti amministrativi a contenuto generale e di natura normativa.
La motivazione, pertanto, ha un suo fondamento nella ricostruzione del’iter logico seguito dall’amministrazione, anche allo scopo di verificarne la correttezza.
L’art. 3, comma 3, della legge 241 prevede la c.d. motivazione per relationem, disponendo che se le ragioni della decisione risultano da un altro atto della amministrazione richiamato dal provvedimento stesso e reso disponibile dalla Amministrazione, la motivazione del provvedimento richiama e fa propria la parte motiva dell’atto richiamato.
· L’obbligo di provvedere e la fattispecie del silenzio.
La legge 241/90 all’art. 2 prevede l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, entro un termine certo previsto dai regolamenti e, se questi non lo disciplinano, dalla legge generale sul procedimento amministrativo.
Nel caso siano scaduti i termini e il provvedimento formale non venga adottato, senza che alcuna disposizione di legge qualifichi tali silenzio, a seconda dei casi, “rigetto” ( il silenzio è equiparato ad un provvedimento di rigetto della istanza) o “accoglimento” ( il silenzio è equiparato ad un provvedimento di accoglimento della istanza), il soggetto interessato può impugnare innanzi il T.A.R. il c.d. silenzio rifiuto, senza la necessità di diffidare previamente l’amministrazione inadempiente e, comunque, entro un anno dalla scadenza del termine finale del procedimento.
 
Prof. Fabrizio Giulimondi

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