venerdì 21 ottobre 2011

I RICORSI AMMINISTRATIVI - AGGIORNAMENTO

La tutela in sede amministrativa è attuata dalla stessa amministrazione, attraverso un procedimento amministrativo, di secondo grado, operando su di un precedente atto amministrativo, instaurato a seguito di un ricorso dell’interessato. La questione è, dunque, risolta nell’ambito della P.A. senza alcun intervento giurisdizionale.
Il fenomeno in questione rientra nell’istituto dell’autodichia, in quanto le decisioni che la P.A. adotta, in seguito a ricorso dell’interessato, non sono espressione di un potere della P.A. di autotutelare i propri interessi, quanto di decidere da sé una controversia insorta con terzi in veste imparziale
La tutela amministrativa qualificata anche giustizia o autodichia si attiva:
1) a seguito di ricorso;
2) si attiva, pertanto, su iniziativa del ricorrente;
3) È di tipo contenzioso, ossia in contraddittorio con gli altri interessati e con i controinteressati;
4) La P.A. investita del ricorso ha l’obbligo di porsi in posizione di terzietà in ordine alla controversia;
5) La decisione circa la sussistenza di vizi del provvedimento è vincolata ai motivi addotti dal ricorrente;
6) L’autorità che decide il ricorso una volta emanato il provvedimento decisorio consuma il suo potere .
Il ricorso amministrativo è quella particolare istanza rivolta ad una pubblica amministrazione e diretta a conseguire la tutela di una situazione giuridica soggettiva che si suppone lesa da un atto amministrativo o da un comportamento della P.A.
Per lo più il ricorso amministrativo che viene preposto nel rispetto dei termini, forme e condizioni normativamente predeterminate è rivolto contro un provvedimento e mira ad ottenere il suo annullamento,revoca o riforma.
Il ricorso presuppone l’esistenza di un assetto di interessi determinato dalla Pubblica Amministrazione, generalmente a seguito di apposito atto, assetto sul quale sia insorta una controversia tra autore e destinatario dell’atto stesso.
La presenza di una controversia in atto distingue il ricorso da una qualsiasi memoria o osservazione prodotta nel corso di procedimenti amministrativi finalizzati all’emanazione di atti cui gli istanti sono interessati.
I vantaggi concreti che offrono tali ricorsi sono la possibilità di ottenere una nuova pronuncia da parte dell’amministrazione, la teorica rapidità della controversia e la spesa decisamente contenuta da sostenere.
Le forme dei ricorsi amministrativi sono: l’opposizione, il ricorso gerarchico proprio, il ricorso gerarchico improprio e il ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Con la loro proposizione l’interessato può far valere la violazione sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi. Inoltre, con il ricorso è possibile dedurre non solo i vizi di legittimità dell’atto, ma anche i vizi di merito, eccetto per il ricorso al Presidente della Repubblica che è consentito solamente per i vizi di legittimità.
I ricorsi sono:
1) Ordinari se hanno ad oggetto un provvedimento non definitivo, come il ricorso gerarchico proprio e improprio e quello in opposizione;
2) Straordinari se attengono atti oramai definitivi come il ricorso al Capo dello Stato;
3) Impugnatori, mediante i quali si impugna un atto ritenuto lesivo.
4) Non impugnatori, aventi carattere eccezionale e atipico, hanno ad oggetto un mero comportamento della P.A. (ad esempio: il silenzio) o la costituzione o modifica di un rapporto giuridico.
La disciplina dei ricorsi amministrativi è contenuta nel D.P.R. 1199/1971, da ultimo modificato dalla legge 69/2009.
Per stabilire se sia possibile esperire o non esperire un ricorso amministrativo ordinario avverso un atto va preliminarmente verificata la definitività di quest’ultimo: se non è definitivo il ricorrente utilizzerà, a seconda dei casi il ricorso gerarchico proprio o improprio o in opposizione; se è definitivo potrà adoperare il ricorso straordinario al Capo dello Stato.
La definitività si acquisisce trascorso il termine di novanta giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico proprio o improprio ( sia che vi sia stata la decisione sia che la P.A. sia rimasta silente).
La definitività si acquisisce anche in forza di legge, come nella ipotesi dei provvedimenti prefettizi in materia di requisizione e occupazione di urgenza, o in ragione del fatto che siano stati adottati da organi non aventi superiori gerarchici ( Ministri o Dirigenti Generali) o di natura collegiale.
Gli elementi del ricorso amministrativo sono:
  • i soggetti: persone fisiche e giuridiche oltre associazioni senza personalità giuridica;
  • l’interesse dei soggetti ad ottenere un certi tipo di provvedimento;
  • i termini perentori: trenta giorni per il ricorso gerarchico proprio e improprio e in opposizione e centoventi giorni per quello al Capo dello Stato. Il termine decorre dalla notifica o comunicazione dell’atto, o dalla sua pubblicazione ovvero dalla piena conoscenza del medesimo;
  • la forma del ricorso deve essere redatto per iscritto;
  • L’oggetto del ricorso può essere un atto amministrativo, un comportamento posto in essere dalla Pubblica Amministrazione o un rapporto insorto fra la P.A. e un terzo oppure fra soggetti estranei alla P.A. stessa .
La decisione può essere:
  • di rito, se dichiara la irricevibilità del ricorso, se presentato fuori termine; di inammissibilità se è stato presentato ad una Autorità non competente;
  • di merito, ossia di rigetto, se i motivi del ricorso sono ritenuti infondati, o di accoglimento. Se la decisione è di accoglimento e il ricorso si basa su motivi di legittimità il provvedimento si qualificherà di annullamento; se invece il ricorso si basa su motivi di merito il provvedimento finale si configurerà come di revoca dell’atto oppure di sua riforma.
  • Il ricorso gerarchico
Il ricorso gerarchico proprio è un rimedio amministrativo ordinario e generale, consistente nell’impugnativa per motivi di legittimità e/ o di merito all’organo gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l’ atto non definitivo che il soggetto proponente ritenga abbia leso un proprio diritto soggettivo o interesse legittimo.
Il ricorso gerarchico può essere proprio o improprio.
Il ricorso gerarchico proprio, di ordine generale, sussiste quando vi sia un rapporto gerarchico in senso tecnico, ovverosia un vincolo di subordinazione tra l’organo che ha emanato latto impugnato e l’organo a cui si ricorre.
Il ricorso gerarchico improprio, di ordine eccezionale, è previsto in casi tassativi ogniqualvolta non esista un vero e proprio rapporto gerarchico, come nelle seguenti ipotesi:
  • Provvedimenti adottati da organi collegiali;
  • Provvedimenti adottati da enti pubblici;
  • Provvedimenti adottati da organi già di vertice.
Il ricorso gerarchico è ammesso in unica istanza. Anche in caso di pluralità di gradi gerarchici, il ricorso deve essere proposto una sola volta e la decisione presa dall’organo “impropriamente” gerarchico deve essere considerata definitiva.
Dall’esame delle norme della legge istitutiva dei T.A.R. si desume che la definitività dell’atto amministrativo non è più condizione indispensabile per l’impugnabilità dello stesso in sede giurisdizionale.
Il ricorso gerarchico ha, quindi, perduto la sua tradizionale caratteristica della necessaria preventività, per assumere quella della facoltatività, intesa nel senso di libera scelta fra l’uno e l’altro rimedio senza, comunque, che risulti mai preclusa la via giurisdizionale.
Tali principi si risolvono, concretamente, nella improcedibilità del ricorso gerarchico nel caso in cui venga presentato il ricorso giurisdizionale prima che sia intervenuta la decisione sul rimedio amministrativo, ovvero prima che si sia formato il silenzio sullo stesso.
Ulteriore conseguenza di tali principi è anche quella dell’inammissibilità della sussistenza, in contemporanea, dei due rimedi avverso il medesimo atto, anche se proposti da soggetti diversi. In questa ipotesi il ricorso giurisdizionale dinanzi al T.A.R. esclude quello giustiziale e l’Amministrazione adita in forza del ricorso gerarchico deve informare soggetti interessati e controinteressati dell’avvenuta presentazione del ricorso giurisdizionale.
Il ricorso gerarchico tende a far valere quei vizi di merito che inficerebbero l’atto impugnato, vizi che in via generale non possono essere invocati nel processo innanzi al T.A.R..; anche la lesione di diritti soggettivi possono essere giustiziabili in sede di ricorso gerarchico, lesione che può essere oggetto di un procedimento giurisdizionale solamente in sede di giurisdizione esclusiva ( non solo dei degli interessi legittimi ma anche dei diritti soggettivi).
La P.A. ha l’obbligo giuridico di decidere sul ricorso gerarchico.
Nella evenienza in cui, trascorsi novanta giorni dalla presentazione di tale ricorso l’organo non emetta alcunché, il ricorso si ritiene rigettato a tutti gli effetti e l’interessato può impugnare il provvedimentopreviamente e inutilmente oggetto del ricorso gerarchico dinanzi il giudice amministrativo o, in alternativa, per il tramite del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Il D.P.R. 1199/1971 ha dettato una disciplina particolareggiata del procedimento per la decisione del ricorso gerarchico:
  • Il ricorso deve essere presentato entro trenta giorni dalla notifica o dalla conoscenza dell’atto impugnato;
  • Il ricorso può essere presentato direttamente all’autorità competente mediante consegna all’ufficio; mediante notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario; o, infine, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno;
  • Se il ricorso è presentato ad un organo diverso da quello competente, ma appartenente alla medesima amministrazione ( ad esempio al questore invece che al prefetto), viene trasmesso d’ufficio all’organo competente; se l’organo appartiene ad amministrazione diversa (come ad esempio al questore invece che al Sovrintendente alle opere pubbliche), ove ricorrano i presupposti, i termini vengono sospesi e il ricorrente avrà l’onere di ripresentare il ricorso alla autorità competente;
  • L’organo decidente, se non vi ha già provveduto il ricorrente, comunica il ricorso a tutti i soggetti direttamente interessati ed individuabili dall’atto impugnato, sia che anche essi vogliano l’eliminazione dell’atto (soggetti cointeressati) sia che siano favorevoli alla sua conservazione ( soggetti controinteressati);
  • Il ricorso non ha efficacia immediatamente sospensiva dell’efficacia dell’atto impugnato, salvo l’autorità adita non lo sospenda a seguito di richiesta del ricorrente che abbia le sue fondamenta su gravi motivi;
  • La decisione può essere di vari tipi: di annullamento in caso sussistano vizi di legittimità o di merito; di riforma ovvero di rigetto.
  • Se l’autorità non si esprime formalmente entro novanta giorni dalla presentazione del ricorso il ricorso stesso si ritiene rigettato e l’interessato potrà impugnare l’atto amministrativo, oramai considerato definitivo, al T.A.R. o, in alternativa, al Capo dello Stato in forza del ricorso straordinario.
  • Ricorso in opposizione
E’ un ricorso amministrativo atipico, eccezionale in quanto utilizzabile solo nei casi tassativamente previsti da disposizione di legge, di tipo impugnatorio, rivolto alla stessa autorità che ha emanato l’atto impugnato. L’eccezionalità di tale rimedio giustiziale si rivela nel fatto che si chiede “giustizia” alla medesima autorità che ha adottato l’atto.
Può essere adoperato sia per motivi di legittimità( violazione di legge, di forme, di procedure) che di merito( inopportunità, incongruità, non convenienza), a tutela di diritti soggettivi o di interessi legittimi.
Il termine per impugnare è di trenta giorni dalla notifica o comunicazione o pubblicazione o conoscenza in altro modo dell’atto oggetto del ricorso.
  • Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un rimedio amministrativo di carattere generale consistente nell’impugnativa di un atto amministrativo definitivo, proposto dal soggetto interessato direttamente al Capo dello Stato.
Esso è ammesso soltanto per motivi di legittimità e in caso di lesione sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi.

N.B.: L'art.69 legge 18 giugno 2009, n. 69, il decreto legislativo 2 aprile 2010, n. 104 (codice del processa amministrativo), emanato in attuazione dell'art. 44 legge 18 giugno 2009, n. 69, la copiosa giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione,  della Adunanza  Plenaria (in sede giurisdizionale) e della Assemblea Generale (in sede consultiva) del Consiglio di Stato di interpretazione dei cennati testi normativi e, ultima, le sentenza della Corte Costituzionale 2 aprile 2014, n. 73, hanno mutato profondamente la disciplina e la natura del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica:
 - rimedio giustiziale, sostanzialmente assimilabile a un "giudizio" di tipo giurisdizionale;
 - il parere espresso dal Consiglio di Stato è vincolante e, quindi, una sorta di codecisione;
 - in sede di espressione del parere, il Consiglio di Stato può sollevare eccezione di  incostituzionalità di una legge rilevante per la sua decisione  dinanzi la Corte Costituzionale;
 -  in sede di espressione del parere, il Consiglio di Stato può sollevare la questione di pregiudizialità comunitaria alla Corte Europea di Giustizia del Lussemburgo;
 -  avverso il Decreto del Presidente della Repubblica che decide sul ricorso si può accedere al giudizio di ottemperanza; 
 - si possono presentare motivi aggiunti;
 - a far data dalla entrata in vigore del codice del processo amministrativo (d.lgs, 104/2010) il ricorso al Capo dello Stato è alternativo solamente alla giurisdizione amministrativa e non anche a quella ordinaria, ossia insiste unicamente sulla stessa competenza dei giudici amministrativi e non più  su quella dei giudici ordinari. A differenza del ricorso al T.A.R., la presentazione del ricorso al Capo dello Stato non comporta il pagamento del contributo unificato.

  • Rapporti con il ricorso al T.A.R..
Principio di alternatività.
Il ricorso straordinario è alternativo solamente a quello giurisdizionale amministrativo (electa una via non datur recursus ad alterum). Pertanto:
- se l’atto è impugnato con ricorso giurisdizionale al T.A.R. è inammissibile il ricorso straordinario avverso lo stesso atto;
- se l’atto è stato impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, non è più impugnabile con ricorso al T.A.R..
La regola della alternatività ha funzione di evitare che sullo stesso atto amministrativo intervengano due pronunzie giustiziali diverse ( divieto del ne bis in idem); che il Consiglio di Stato si pronunci due volte sullo stesso atto (attraverso parere obbligatorio in sede di ricorso straordinario e come giudice di appello in sede di ricorso giurisdizionale); e di salvaguardare il prestigio del Presidente della Repubblica , che sarebbe sminuito ove si ammettesse un sindacato giurisdizionale sul decreto presidenziale.
Tuttavia, va precisato che il principio di alternatività tra ricorso straordinario in parola e ricorso al T.A.R. opera solo nel caso di impugnazioni aventi ad oggetto il medesimo atto.
Tale principio si applica anche nel caso sia impugnato l’atto presupposto con una tipologia di ricorso e l’atto conseguente con l’altra tipologia.
  • Trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale
La trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale amministrativa è un istituto previsto a tutela dei controinteressati ai quali sia stato notificato il ricorso. Poiché il ricorso giurisdizionale offre maggiori garanzie rispetto a quello straordinario, deve essere consentita la scelta fra due forme di tutela non solo al ricorrente, ma anche al controinteressato che, non potendo subire passivamente una scelta altrui, chiede che il ricorso sia trasposto in sede giurisdizionale.
Impugnato l’atto con ricorso straordinario, il ricorrente, avendo fatto la sua scelta, non può più ricorrere in sede giurisdizionale; invece i controinteressati al ricorso (ossia contrari ad esso) possono scegliere se:
- Aderire alla opzione del primo ricorrente;
- Chiedere, mediante opposizione notificata al ricorrente ed all’Autorità che ha emanato l’atto entro sessanta giorni da quella del ricorso straordinario, che quest’ultimo sia deciso in sede giurisdizionale. In tal caso il ricorrente, qualora intenda insistere nel ricorso amministrativo, deve depositare l’atto di costituzione in giudizio entro sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione.
  • Il procedimento per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
Il ricorso deve essere presentato entro 120 giorni dalla data di notifica o comunicazione dell’atto o dalla piena conoscenza di esso.
Entro il suddetto termine il ricorso – che può essere presentato anche personalmente – deve essere notificato ad almeno uno dei controinteressati ( soggetti che contrastano la richiesta di annullamento del provvedimento) ed alla autorità che ha emanato l’atto e depositato direttamente presso il Ministero competente anche per il tramite dell’organo che emanato l’atto impugnato.
L’obbligo di notifica ad almeno uno dei controinteressati, a differenza del ricorso gerarchico, instaura un autentico contraddittorio fra le parti, tanto che il Ministero competente assegna un ulteriore termine al ricorrente per l’integrazione del contraddittorio, indicando i soggetti a cui il ricorrente deve compiere la notifica.
Il ricorso può includere anche una richiesta di sospensione del provvedimento impugnato, nel caso esso determini danni gravi e irreversibili al ricorrente.
L’istruttoria è compiuta dal Ministero competente per materia.
Una volta chiusa la fase istruttoria su di essa il Consiglio di Stato ha l’obbligo di esprimere un parere obbligatorio oltre che vincolante per l’Autorità decidente .
Al termine di questo procedimento il ricorso straordinario è deciso con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero competente (ossia quello che ha effettuato l’istruttoria), necessariamente conforme al parere del Consiglio di Stato.

La presente pubblicazione è depositata alla SIAE e tutelata a sensi della normativa vigente sul diritto d’autore.
Provvederò a citare il giudizio dinanzi l’Autorità Giudiziaria competente chiunque copi totalmente o parzialmente il testo senza il mio consenso preventivo.

Fabrizio Giulimondi


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